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sabato 27 aprile 2013

Maccio Capatonda



L’abruzzese Marcello Macchia (in arte, Maccio Capatonda) è diventato famoso in tutta Italia con una serie di brevi video inizialmente trasmessi in tv dalla Gialappa’s e poi diventati oggetti di culto su youtube, dove registrano migliaia di visualizzazioni ogni mese.  Finti trailer concepiti come parodie dei più popolari generi d’intrattenimento, dal thriller al melodramma, dalla fiction agiografica alla commedia natalizia. Ma anche finti servizi di cronaca nera, spot pubblicitari in stile Carosello, videoclip, miniserie, sketch e tanto altro. Una mole impressionante di video caratterizzati da ribaltamenti iberbolici del senso comune, svarioni linguistici, giochi tautologici e derive nonsense, dove interpreti dalla discutibile fotogenia creano personaggi strepitosi come il plurirattristato Mariottide (pungente parodia dei lagnosissimi cantautori partenopei), il citrullo Herbert Ballerina, il viscido Rupert Sciamenna e l’isterica Anna Pannocchia.
In particolare Mario, una serie in diciotto puntate prodotta da MTV, è in un certo senso il suo canto del cigno. La serie racconta la storia del pluritelegattato conduttore di un telegiornale nazionale che viene acquistato dalla Micidial Corporation, una losca multinazionale che impone i propri sponsor e che è forse responsabile della sparizione del precedente direttore. Mario si trova dunque costretto a condurre il telegiornale in condizioni sempre più ristrettive e umilianti, e allo stesso tempo deve indagare sui misteri della Micidial. Oltre a portare avanti l'intricata vicenda, ogni puntata offre anche numerosi servizi giornalistici in puro stile Capatonda.
Mario e in generale i video di Maccio Capatonda sono sicuramente perfetti per una serata pizza e birra con gli amici, magari con un proiettore e un laptop connesso a youtube. 
Eppure, ci sembra di scorgere nei giochi linguistici e nel nonsense di Maccio Capatonda ben altro che un semplice divertimento goliardico. In un Paese in cui la cui comicità è fossilizzata tra i soliti regionalismi nord/sud e la scatologia da cinepanettone, Maccio Capatonda è forse l'unico a proporre qualcosa di assolutamente nuovo. E graffiante. Prende di mira conflitto d’interessi,  lo strapotere manipolatorio del mezzo televisivo, la corruzione e la malpolitica, la meschinità e l’ipocrisia, la retorica nostalgica da come eravamo, l’instupidimento generale e l’oscenità da prime time. In altre parole, prende di mira l’Italia. E lo fa con uno stile inedito, caleidoscopico e sulfureo, tra echi di commedia demenziale alla David Zucker e deviazioni surreali che forse non sarebbero dispiaciute a Buñuel. Si ride con ferocia, e alla fine ci resta in faccia un ghigno che fa male; il mondo-incubo raccontato da Maccio Capatonda non è poi così lontano da quello reale. 
Quella di Maccio Capatonda è la comicità più tagliente e originale che si sia vista in Italia dai tempi dei primi Fantozzi. Che qualcuno se ne accorga e gli dia lo spazio che merita. 



domenica 21 aprile 2013

Le feste danesi



I danesi amano le feste, che non sono un semplice svago ma una componente fondamentale dell’idillio sociale del loro Paese, un autentico sigillo di benessere. Le adorano al punto che le organizzano con mesi di anticipo, pianificandole nei minimi dettagli con la stessa serietà con cui affronterebbero l’incontro con un Capo di Stato o con il CTO dell’azienda di cui sono dipendenti.  Non ci riferiamo a festicciole del sabato sera, ma ad eventi di scala più grande che coinvolgono decine di persone, ad esempio Sommer fest o Julefrokost.
Tali eventi non si esauriscono in una cena o in un buffet di poche ore, ma hanno un programma molto elaborato. Di solito si comincia con un’attività pomeridiana, il bowling o il tiro con l’arco o l’arrampicata sportiva o la gita in canoa o la corsa sui go-kart o il tiro alla fune o lo sci nautico nel fiordo o chi più ne ha più ne metta. I vari centri sportivi disseminati ad ogni angolo delle varie città sono ben organizzati per accogliere gruppi di dimensione eterogenea e garantire loro un’offerta con assicurato livello di divertimento e soddisfazione. Si privilegiano gare in cui i visitatori vengono divisi in diverse squadre che si scontrano le une con le altre. Di solito, a metà dell’evento c’è una pausa di mezz’ora in cui ci riunisce davanti ad un tavolo pieno di patatine e snack al formaggio, si beve una o due Carslberg e si parla e si ride tutti insieme prima di tornare a gareggiare.  Il tempo dedicato all’attività pomeridiana ad un certo punto scade, e ci si sposta in autobus o con la macchina in un ristorante o in un parco (se siamo in primavera o estate), dove avrà luogo la seconda parte della festa, una cena o un barbecue.  Ad esempio lo Julefrokost –il pranzo/cena di Natale- è tipicamente un buffet con  frikadeller, flæskesteg,  fiskefilet con remoulade, pane nero con aringhe, calamaretti surgelati e uova sode, pølser con ketchup maionese o senape, risalamand (un dolce a base di riso e amarene), e il gløgg (una specie di variante locale del vin brulé). Di solito non si ha la possibilità di scegliere autonomamente il posto a sedere, ma questo viene assegnato con criterio casuale (pescando un numero a cui è associato un posto a tavola) o pseudo-casuale (cioè deciso in anticipo dagli organizzatori in modo da far sedere vicini individui che hanno scarsa possibilità di interagire nella loro quotidianità e dar loro modo di conoscersi meglio). In alcuni modelli particolarmente avanzati di organizzazione, il posto a sedere viene cambiato durante il corso della serata in modo da stabilire un nuovo grafo di connessioni tra persone. Ma la cena/buffet/barbecue non si esaurisce nel mangiare e nel chiacchierare con i propri vicini di posto. Gli organizzatori  preparano anche una serie di giochi di gruppo per riempire i tempi vuoti di una serata che altrimenti potrebbe addirittura risultare noiosa. Ad esempio il gioco dei mimi, in cui i gruppi ai diversi tavoli si sfidano nell’indovinare un personaggio o il titolo di un film, o quiz musicali in cui riconoscere il titolo di una canzone, o giochi di abilità (ad esempio, costruire un castello di carte o di stecchini). Alla fine la squadra migliore (e a volte anche la peggiore) viene premiata,  l’intrattenimento termina con studiato tempismo e la festa prosegue secondo i dettami di un programmatico volemose bene.
L’obiettivo degli organizzatori  è naturamente rinforzare lo spirito di gruppo e allo stesso tempo garantire all’invitato un’esperienza totalitaria e piacevole che mantenga alto il suo livello di benessere. Un’organizzazione molto pignola è assolutamente necessaria a garantire la positività dell’evento. Senza calcolare al minuto il tempismo delle varie attività c’è il rischio infatti che l’invitato si trovi a subire tempi morti o si senta addirittura smarrito.  Il divertimento servito su un piatto d’argento, insomma, da un gruppo di organizzatori che hanno sudato per garantire tutto ciò con tale efficacia.
Ma la socialità studiata a tavolino si basa in realtà su due assunti impliciti sottilmente inquietanti.
Il primo è la concezione che la socialità non sia la naturale conseguenza del vivere comune, ma deve essere in un certo senso stimolata dal sistema per poter esistere. Il sistema ti dice come fare a diventare un uomo sociale,  con una certa invadenza ti prende per mano come farebbe una maestra d’asilo per accompagnare un bambino timido dagli amichetti da cui tende ad isolarsi. Non basta creare le condizioni affinché un gruppo di individui possa incontrarsi, ma bisogna intervenire esplicitamente affinché tale incontro avvenga nella maniera più efficiente e corretta. Ciò suggerisce una sottile sfiducia nei confronti delle capacità autonome dell’individuo, quasi ad indicarne la dipendenza dalla società come un bebè dal seno della mamma.
Il secondo è che tale sistema deve offrire un modello standard di convivialità a cui ogni individuo non può che conformarsi.  E si tratta di un modello tarato su un livello medio-basso per andare incontro ad una cerchia assai vasta. Un divertimento di pancia basato su blandi vezzi competitivi, rigurgiti goliardici e programmatica scompostezza. Divertiti come gli organizzatori dicono di farlo, accetta fino in fondo le loro regole, non c’è via d’uscita, le squadre e i gruppi sono formati a priori, il tuo posto a sedere è già assegnato e quindi stai al gioco, non puoi fare altro.
Una festa danese avrebbe dunque la stessa spontaneità di un rito liturgico millenario, se non fosse per la presenza di un potente denotatore, un magnifico deus-ex-machina che nelle feste danesi è importante quanto l’ossigeno e in parte riscrive quanto detto finora: l’alcol.
Ci vuole l’alcol, tanto tanto alcol per far funzionare la festa. Litri di acquavite ed ettolitri di fadøl. L’alcol scardina le griglie, scontorna i contorni,  strappa via le maschere, smuove i tavoli come un ciclone, ritaglia origami con le regole, getta secchiate di colore sul cielo plumbeo del Nord Europa.
L’alcol è l’unica valvola di sfogo da un sistema che con l’invadenza di un genitore troppo apprensivo ti dice persino in che modo devi festeggiare.
Ma soprattutto, l’alcol rende l’uomo danese un uomo sociale. Spontaneamente sociale. Persone che prima neanche ti salutavano diventano improvvisamente amici affezionati, pronti a schierarsi al vostro fianco e combattere per le vostre idee fino alla morte. Musoni dal tono di voce funereo si trasformano in irresistibili buffoni che si lanciano in brindisi megalomani e sulfurei,  bionde rigide e silenti sono ora estroverse e logorroiche come tante Littizzetto maggiorate.
Ogni senso della misura e del decoro sparisce, si lanciano noccioline sul professore che adesso balla la macarena sul tavolo, ci si lascia cadere a terra come colpiti da infarto, tranquillamente si sputa o si vomita nei bicchieri, qualsiasi cespuglio o muro esterno può diventare un orinatorio pubblico.
Ma inevitabilmente l’effetto di questo magnifico elisir svanisce.  L’euforia  e l’illusione di libertà lasciano il posto ad un mal di testa che rimbomba nelle tempie. Silenziosamente si striscia al proprio posto come scolaretti rimproverati, con indolenza si reindossano le maschere. La festa è finita, la Babele di frizzi e lazzi è spazzata via e ciò che rimane è la sterile impalcatura delle convenzioni. Sorridi, in poche ore i postumi della sbronza si dilegueranno e tornerai ad essere una pedina del perfetto meccanismo della società danese, passivo ed efficiente. Fino alla prossima sbronza.
Ci dispiace, ma noi non siamo così.
Noi siamo di quelli che del mondo cogliamo le sfumature e non solo i colori netti. Noi siamo di quelli che non si divertono a comando, che non ridono alle risate pre-registrate delle sitcom americane. Noi siamo di quelli che non hanno paura di stare in disparte per cogliere squarci di bellezza trascurati dai più, siamo di quelli che provano a soffiar via la polvere del banale dalle cose intorno. Noi siamo di quelli che si innamorano di un errore o di un dettaglio, dello scampolo di sorriso impacciato, di uno sguardo inumidito di passione e rabbia.
Ci spiace dirlo, ma siamo di quelli che non si accontentano, di quelli che non sanno stare al posto assegnato. Ahimè, neanche da sobri.


martedì 16 aprile 2013

Qualunquismi da blog


I politici sono tutti ladri.

I politici pensano solo ai cazzi loro.

Destra e sinistra sono la stessa monnezza.

Il problema dell’Italia è Berlusconi.

Il problema dell’Italia sono i comunisti.

Il berlusconismo ci ha resi poveri culturalmente.

Berlusconi è un criminale che e' sceso in politica per non andare in carcere.

Berlusconi è un grande leader vittima dei giudici comunisti che sono invidiosi del suo successo.

Beppe Grillo e' un populista, un fascista, un demagogo.

Beppe Grillo è la vera politica.

Bersani è un morto che parla.

Bossi è ignorante e ladro.

La Russa ha la faccia da delinquente.

Berlusconi va con le mignotte, con le minorenni, e con le mignotte minorenni.

L'Europa germanocentrica ci priva della nostra autonomia nazionale.

L'Euro ci ha impoveriti tutti e bisogna tornare alla lira.

Meno male che siamo nell’eurozona altrimenti vivremmo nelle caverne.

L'Italia ha bisogno di una classe politica onesta e competente.

Il Parlamento è pieno di troie.

Il Movimento Cinque Stelle doveva allearsi con il PD per formare il governo e far fuori Berlusconi.

Il PD doveva allearsi con il PDL per formare il governo e far fuori Grillo.

Gli italiani sono così stupidi che ancora votano Berlusconi.

Gli italiani sono così stupidi che guardano il Grande Fratello invece di Fazio.

I poliziotti sono picchiatori fascisti che non tutelano i cittadini.

I critici non capiscono un cazzo.

I preti sono pedofili.

Il Vaticano è un'associazione a delinquere.

La Juventus vince perché si compra gli arbitri.

Il mangiare buono sta solo in Italia.

Il tempo bello sta solo in Italia.

Italiani e spagnoli sono tanto simili.

I sudamericani hanno il ritmo nel sangue.

Nel Nord Europa non esiste la corruzione.

I popoli del Nord sono molto chiusi.

Quando si vive all’estero bisogna adattarsi alla cultura locale.

Le danesi e le svedesi sono delle grandi gnocche.

In inverno fa freddo.

In estate fa caldo.

In Danimarca fa freddo tutto l’anno.

sabato 13 aprile 2013

Danimarca paradiso kafkiano




Immaginate di essere con un vostro amico in una via del centro di Silkeborg, una cittadina dell’entroterra danese. Cosa vedreste? Selciato a motivo regolare e, ai lati della strada, boutiques HM e Butler, un’ottica Synopsis , una caffetteria Baresso, un negozio di giocattoli BR, una cioccolateria Frellsen, il supermercato Netto, un negozio Fona per l’elettronica, un 7 Eleven, una chiesa luterana dalla torre bianca sullo sfondo. Immaginate adesso che il vostro amico decida, con il vostro consenso, di bendarvi, e vi conduca tenendovi per mano alla sua automobile. Adesso andiamo a Viborg, dice lui. Voi avete ancora la benda sugli occhi, ma sentite sotto di voi il motore e vi accorgete che l’auto si sta muovendo. Dopo circa un’ora, il vostro amico vi avverte di essere arrivati. Vi aiuta a scendere e vi conduce per mano in una via del centro di Viborg. Dopodichè, finalmente vi toglie la benda. La luce del primo pomeriggio vi inonda il viso, ma dopo qualche istante riuscite a mettere a fuoco ciò che avete davanti. Quale sarebbe a questo punto la vostra reazione? Se siete in Danimarca da poco, scoppierete a ridere e rimproverete il vostro amico per essersi preso gioco di voi. Infatti, ciò che vedete è  un selciato a motivo regolare e, ai lati della strada, boutiques HM e Butler, un’ottica Synopsis , una caffetteria Baresso, un negozio di giocattoli BR, una cioccolateria Frellsen, il supermercato Netto, un negozio Fona per l’elettronica, un 7 Eleven, una chiesa luterana dalla torre bianca sullo sfondo.  Non vi siete mai mossi da Silkeborg, pensate voi. Ma il vostro amico non vi ha ingannato: siete proprio a Viborg. Il centro di Viborg è un clone di quello di Silkeborg. E lo stesso potrebbe valere per Randers, Hadsund, Herning, Hjorring, Frederikshavn, Grenaa e molte altre cittadine. Che non sarete mai in grado di distinguere.
La Danimarca è un paese kafkiano dove le città sono tutte uguali. E per questo non esiste via d’uscita, se non salire su un aereo e virare a sud del mondo.  
Non ha senso visitare da turista l’entroterra danese. Visitata una cittadina, le hai visitate tutte. Così come le zone residenziali in centro sono una trafila di case in mattoni rossi dai tetti spioventi  e finestre bianche all’inglese, che sia Aalborg, Ahrus, Odense o Hostelbro, mentre in qualsiasi periferia primeggiano casermoni squadrati di colore bejge dalle finestre con l'aspetto di loculi mortuari. Talmente indistinguibili gli uni dagli altri che gli stessi abitanti devono controllare il numero civico per stare certi di entrare nel posto giusto.
Siete in qualsiasi città danese e volete un caffè? Andate al Baresso.
Dovete comperare il castello Lego di Harry Potter per vostro figlio? Andate al BR.
Una spesa con prodotti di qualità? Andate al Salling.
Una spesa con prodotti economici? Andate al Netto o al Super Brugsen.
Avete bisogno di una connessione Internet? Contattate la Stofa.
Cercate una teiera in acciaio? Andate all'Imerco.
E se per caso i modelli dell'Imerco non vi piacciono? Problemi vostri, la concorrenza non esiste, o se esiste è rappresentata da pochissime altre catene ad estensione nazionale. L'artigianato è inesistente. Qualsiasi prodotto immaginabile,  dalle tende veneziane alle lampade al neon, dai cesti di vimini ai comodini, dalle prese della corrente alle maniglie delle porte, in Danimarca è fornito da un oligopolio ristrettissimo di catene operanti a livello nazionale. Che offrono prodotti identici. Tutte le case hanno le stesse maniglie, le stesse chiusure ad incastro per le finestre, gli stessi rubinetti, lo stesso pavimento, le stesse sedie, persino gli stessi cessi. 
Anche i cibi sono tutti identici. Le frikadeller hanno lo stesso aspetto e sapore in qualsiasi ristorante, così come la flæskesteg, il fiskefilet con la remoulade, i rundstykker con il burro, gli smørrebrød con aringhe e pane nero, gli stjerneskud, il salmone in umido. Tutto preparato esattamente secondo lo standard, senza variazioni. Quante volte in Italia siamo soliti pensare cose del tipo: “L’impepata di cozze come la fa Vincenzone al ristorante Moro non la fa nessuno”. Concetti del genere sono probabilmente impensabili nella cultura danese. Le frikadeller sono frikadeller e basta, le prepari Knud o Lars o Pernille o Lisbeth che sia.
Le catene commerciali offrono tutto ciò di cui si ha bisogno, ma non offrono scelta. Perchè scegliere vuol dire esprimere preferenza, ed esprimere preferenza  vuol dire dichiarare la superiorità di un’offerta rispetto ad un’altra. Esprimere preferenza vuol dire rendere qualcuno scontento, vuol dire togliergli la serenità cui ha diritto. D’altronde, la Danimarca è il Paese che ha formulato la famigerata legge di Jante, che si riassume nei seguenti punti:
1. Du skal ikke tro du er noget! - Non credere di essere qualcosa di speciale.
2. Du skal ikke tro du er lige meget som os! - Non credere di valere quanto noi.
3. Du skal ikke tro du er kloger en os! - Non credere di essere più furbo di noi.
4. Du skal ikke innbille dig at du er bedre en os! - Non immaginarti di essere migliore di noi.
5. Du skal ikke tro du ved mere en os! - Non credere di saperne più di noi.
6. Du skal ikke tro du er mere en os! - Non credere di essere più di noi.
7. Du skal ikke tro at du duger til noget! - Non credere di essere capace di qualcosa.
8. Du skal ikke grine af os! - Non ridere di noi.
9. Du skal ikke tro at nogen kan lige dig! - Non credere che a qualcuno importi di te.
10. Du skal ikke tro du kan lære os noget! - Non credere di poterci insegnare qualcosa.

Sono “regole” repressive che uccidono l’iniziativa personale e/o privata, che viene percepita come sbagliata e immorale, come un deprecabile attacco al celebrato idillio sociale della patria di Andersen.
Sarà anche vero che un sistema del genere, inculcato fin dalla tenera infanzia, aiuta lo sviluppo di una società stabile, equalitaria, coesa e serena. 
Ma con gli occhi dello straniero, la serenità tanto strombazzata dai danesi non ci sembra affatto il risultato di un’autonoma e matura presa di coscienza nazionale, quanto di un subdolo lavaggio del cervello.
Reprimi ogni impulso di essere diverso e migliore degli altri, e sarai sereno. Coglione e sorridente come il personaggio di una sitcom americana.  Sei nel Paese più felice del pianeta, ti dicono tutti, lascia perdere il resto del mondo, è pieno di guai. Lavora trentasette ore a settimana, va' a lavoro in bicicletta perchè non inquini, anche se piove a dirotto e il vento ti prende a schiaffi , torna a casa alle quattro, fa' la spesa al Netto e regalati un blando hygge serale guardando How I met your mother grazie all’IP tv della Stofa, ubriacati nelle bettole del centro il sabato sera. A luglio vola a sud a comperarti la tua settimana di sole in Grecia, Italia o Spagna. A dicembre va' allo Julefrokost con i colleghi e prepara giochi dementi in cui tutti rideranno anche se non c’è nulla da ridere, perchè è una festa e nelle feste bisogna ridere, altrimenti la coesione e l’armonia del gruppo vanno a farsi benedire...
Mi spiace, ma non ci caschiamo. Questo sistema è fasullo ed ipocrita. Perchè gli uomini sono e rimangono animali feroci, e il compito della società è quello di arginare la loro esuberanza, ma non di lobotomizzarli.
I danesi sono sereni come lo è un cavallo selvaggio a cui è stata iniettata una damigiana di sedativo e ora osserva con occhioni da ebete i suoi simili a cui tocca correre all’ippodromo per campare.  
Per quanto ci riguarda, noi siamo dalla parte di chi continua a correre e sudare, di chi si scorda dei puntini sulle i, di chi colora gli album in bianco e nero con vistose uscite dai contorni.
Questa specie di Truman Show non ci va giù. Anche perchè, a differenza del film di Peter Weir, in Danimarca il cielo che ci sovrasta è più vero e incazzato che mai.