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mercoledì 2 dicembre 2015

La laurea a 28 anni

Grande irritazione hanno destato la settimana scorsa le parole del ministro Poletti. Prendere una laurea a 28 anni non serve a nulla, anche se con il massimo dei voti, ci dice lui.  Per l'ex viceministro Michel Martone, invece, chi a 28 anni la laurea non ce l'ha, è semplicemente uno sfigato.  Un'età davvero infelice quella dei 28, insomma, almeno in Italia, il paese dove i giovani sono troppo choosy, per citare un altro fenomeno della politica recente.
Ma insomma, come si permettono questi politici?, si chiedono tutti. E' facile per loro parlare così,  hanno sempre avuto la strada spianata e non certo per merito! Non dovrebbero proprio parlare loro! E poveri giovani!
Ebbene, sarò impopolare, ma credo che tali politici tutto sommato abbiamo ragione. Certo, può infastidire che a disquisire sull'età della laurea sia un individuo che la laurea neanche ce l'ha. Ma quel che dicono, estrapolato da facili strumentalismi, riflette una realtà scomoda ma abbastanza nitida per chi sa mettere da parte la lente deformante del vittimismo.
Chi si offende per le esternazioni di Poletti, Martone e Fornero, è in un certo senso figlio della stessa mentalità che tali problemi li ha generati. La mentalità della laurea a tutti i costi, inculcata alla maggiorparte dei giovincelli italiani non certo per amore di cultura, ma per ricerca di (stupido) prestigio sociale. E per il miraggio di un buon lavoro, anche se ormai nessuno ci crede piu'. Il messaggio che arriva ai diciottenni da scuola e famiglia, è che se non hai la laurea sei un perdente, un individuo di serie B. Bisogna iscriversi a tutti i costi all'università e diventare Dottori. Anche se non si è affatto portati. E così le facoltà di medicina sono piene di studenti terrorizzati dalla vista di una goccia di sangue, e le facoltà di ingegneria di ragazzi che non hanno mai avuto le idee chiare sulle equazioni di primo grado.
Laurearsi a 28 anni, quando si e' matricole a 19, vuol dire essere stati fuori corso per almeno tre o quattro. Diciamolo senza giri di parole: se si resta fuori corso tutto quel tempo, vuol dire che non si è tagliati per quella laurea. Per mancanza di interesse o di attitudini specifiche. O forse non si è portati per lo studio in generale. E qui qualcuno dirà: e gli studenti lavoratori? E' ovvio che restano fuori corso, devono lavorare per mantenersi e studiare, è durissima! D'accordo, tanto di cappello ai veri studenti lavoratori (io non ero uno di loro e li ammiro molto), ma in quanti casi quello di dover "studiare e lavorare" è soprattutto un alibi per giustificare una troppo lunga permanenza universitaria? Ho conosciuto dozzine di ragazzi fuori corso che si vantavano di "studiare e lavorare" , ma il loro lavoro era magari fare servizio in un agriturismo un sabato sera al mese.  Gli studenti americani lavorano e studiano sul serio, quotidianamente, e riescono a finire gli studi nel tempo previsto, altrimenti sono espulsi o diventa semplicemente troppo costoso proseguire.
Personalmente sarei anch'io per un aumento significativo delle tasse per gli studenti fuori corso, almeno per quelli senza una valida motivazione per il loro ritardo. Ciò funzionerebbe come un disincentivo a iscriversi a certe facoltà per cui non si è tagliati. Si avrebbero meno laureati (tanto la domanda non è certo esorbitante, ma questo è un altro discorso...) però  più giovani e bravi, e si eviterebbe che trentacinquenni neolaureati rubino il posto a più capaci colleghi venticinquenni, solo perchè hanno lo stesso "pezzo di carta" e migliori conoscenze. Si restituirebbe valore a titoli inflazionati. Ma soprattutto, crollerebbe il mito dell'università come parcheggio per i nullafacenti; il prezzo del parchimetro è troppo  alto, accomodarsi fuori, grazie.
Il lamento generalizzato per le condizioni infelici su cui versano tantissimi giovani e' in molti casi una scappatoia per chi non ha mai mosso un dito in vita sua e si adagia comodamente nella parte della vittima di un sistema iniquo. Ignorando che tale iniquita' deriva proprio da atteggiamenti cosi'. Di chi si iscrive all'universita' per il "pezzo di carta" e ci resta dieci anni o piu', magari lamentandosi dei professori che "ce l'hanno con lui", e raggiunto finalmente il traguardo e scoprendosi disoccupato, si lamenta del sistema che ha contruibuito ad ingolfare.
L'università non è per tutti, insomma, bisogna meritarsela. E sudarsela. Uno studente di 28 anni, è uno studente vecchio che nella vita avrebbe dovuto fare altro.
Ciò non vuol dire che chi non è tagliato per l'università sia uno stupido o un individuo di intelligenza inferiore. Basti pensare ai tanti personaggi brillanti del nostro tempo sprovvisti di laurea (non mi riferisco certo al ministro Poletti). Semplicemente, ha una forma mentis differente. Personalmente, poi, credo sia più ammirevole un ragazzo che a diciannove anni decide di aprire una sua attività e portarla avanti con energia ed entusiasmo, di un altro che passa le giornate davanti ai libri imparandone a memoria il contenuto e dimenticandosene due minuti dopo l'esame.
Ogni giovane dovrebbe liberarsi della zavorra di una mentalità sbagliata prima di fare le scelte sul suo futuro, con la consapevolezza che non può permettersi il lusso di essere pigro. Se così sarà, non sarà mai uno sfigato.