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sabato 19 luglio 2014

Vola vola Topolino - Riscrivere una storiella inventata da bambino

"Tutti i grandi sono stati bambini una volta, ma pochi di essi se ne ricordano" (Antoine De Saint-Exupery)

Qualche mese fa, scartabellando tra vecchi quaderni nella casa dei miei genitori, è saltata fuori una storiella che avevo scritto all'età di cinque anni. Stampatello, calligrafia da bimbo, e un "Bravissimo +" della maestra (forse). Colpito dal curioso ritrovamento, ho scattato una foto. Voilà, ecco qui il testo originale.



Trascrivo fedelmente in basso il testo della storiella.
  
VOLA VOLA TOPOLINO
Un giorno Topolino si comprò un aereo. Volava in basso. Ma quanto è basso! La mattina dopo l'aereo non c'era più. Guardò nei libri e lo trovò. C'era scritto che era un ladro di aerei. Appena si fece notte Topolino andò nella casa del ladro. Appena stava per uscire, Topolino si avvicinò. Dove hai nascosto il mio aereo? Non te lo do'. Dimmelo, altrimenti ti rompo la testa. Vediamo. Vuoi vedere che te la rompo? Vuoi vedere che non me la rompi. Oh, no. Hai visto che non me la rompi. Riproviamo. Bum. E Topolino ritrovò l'aereo e volò felice e contento.
FINE

Ieri avevo un bel po' di tempo libero, e per combattere la noia sfogliavo le foto nella memoria del mio smartphone. La storiella è venuta fuori di nuovo. L'ho riletta, e ho avuto un'idea. Perchè non riscriverla? Una versione aggiornata, diciamo. Beh, l'ho fatto. In basso potete leggere la versione 2014 della mia storiella infantile.

VOLA VOLA TOPOLINO
In fondo Topolino lo sapeva che qualcosa sarebbe andato storto. Ogni suo timido tentativo di rivalsa si era sempre rivelato un clamoroso flop. Perchè quella volta le cose sarebbero dovute andare in modo diverso?  Quando aveva investito tutta l'eredità di famiglia nel brevetto di volo e soprattutto nell'acquisto del suo Piper J-3, monomotore ad ala alta, aveva pensato che quella sarebbe stata finalmente l'occasione di riscatto dai tanti suprisi subiti. Tutti quelli che lo ritevano un disadattato, un idiota, un povero sciocco da deridere e basta, si sarebbero ricreduti. Ahimè, si sbagliava.
Era bastata la prima sessione di volo con il suo lucidissimo aereoplano color giallo purè per capire che qualcosa non andava. L'altimetro faceva le bizze, il ronzio sordo del motore aveva delle pause improvvise che gli gelavano il sangue facendogli pensare il peggio, la barra di comando non sembrava tarata con l' angolo di inclinazione degli alettoni, causando sbandamenti preoccupanti. L'areo volava basso, ogni tentativo di raggiungere quote decenti  si traduceva in un'anarchia degli strumenti di rilevazione e in vibrazioni di un'intensità insostenibile. Topolino aveva sognato di volare al di sopra delle nuvole, di guardare il mondo dall'alto e riderci su, schernendo le miserie della sua vita di ogni giorno. Ed era stato tradito dalle sue ambizioni.
Un giorno il suo Piper sparì dalla corsia cinquantasette del piccolo aeroporto civile in cui era parcheggiato. In preda al panico, Topolino cominciò a guardarsi intorno, ma quelli che vedeva nelle piste adiacenti erano aerei ben diversi dal suo. Avrebbe voluto rivolgersi a qualcuno ma l'aeroporto sembrava deserto. Digitò sul cellulare il numero della polizia, ma notò qualcosa all'interno della cabina di controllo che lo spinse a metter giù la chiamata. Il registro dei voli. Era aperto. Stranamente aperto. Si recò nella cabina e vide che la sigla dell'ultimo aereo registrato per una sessione di volo era la sua. La firma al fianco, invece, no. Ma conosceva bene quella firma. La rabbia gli salì dallo stomaco alle tempie fino a farlo quasi sbandare.
Sapeva dove recarsi, lo sapeva bene. Percorse dunque a passo rapido i trecento metri che lo separavano dalla casa del controllore di volo. E lo vide, il ladro di aerei, seduto su una sedia di vimini con una lattina di birra in mano. Dal cappello a tesa larga che portava in testa spuntavano ciuffi ribelli su una fronte alta e grinzosa, con sopracciglia folte e occhi neri grandi e sornioni. Continuava a sorseggiare la sua birra sputando a volte a terra. Quando si accorse di Topolino, sorrise con fare strafottente, e tirò su il cappello per un istante per salutarlo con grottesca riverenza.  Perchè hai preso il mio aereo, chiese Topolino. Il ladro scrollò le spalle con sufficienza. Avevi lasciato la chiave dell'abitacolo, e avevo voglia di fare un giro.
In quella risposta, e nella risata che seguì,  Topolino lesse un micidiale concentrato di decenni di insulti, soprusi e inganni. Rivide gli sghignazzi dei compagni di scuola, e rivisse i momenti terribili in cui il nome con cui tutti ora lo conoscevano - Topolino- gli era stato affibbiato. Colpa delle orecchie a sventola, della vocetta stridula e della statura minuta. Una vita con quel soprannome grottesco. Un uomo additato da tutti come un topo.
Topolino aveva con sè una chiave inglese e la strinse forte con le dita fino a farsi male. Respirò a fondo. Dove lo hai nascosto, chiese.   Il ladro bevve un altro sorso di birra e sputò di nuovo a terra. Poi con un gesto teatrale tirò su la manica del suo camicione di flanella e diede un'occhiata al suo orologio da polso. Se torni domani a quest'ora, forse te lo dico. Topolino sollevò la chiave inglese e il ladro scoppiò in una risata esagerata. Cosa diavolo vuoi farci con quella, esclamò.
Ma forse aveva sottovalutato la rabbia di Topolino. Dopotutto, aveva a pochi metri da lui la vittima di un furto. E la stava schernendo. La chiave inglese lo colpì sulla fronte facendolo stramazzare a terra. Quando rinsavì da quella fitta di dolore, vide il viso piccolo e feroce di Topolino a pochi centimetri da lui, e il desiderio di continuare a schernirlo fu più forte del timore di una sua reazione. Guarda che non mi hai fatto niente, esclamò con una risata impudente.
Il colpo successivo fu più forte, si sentì come travolto da un treno frecciarossa mentre la testa gli girava di quasi centottanta gradi al punto di rischiare di spezzare la spina dorsale. Sentì  il sapore ferroso nel sangue in bocca, e il dolore acuto dei nervi del collo che cercavano a fatica di ristabilire una posizione di riposo. Sebbene la sua reazione immediata sarebbe stata quella di rimettersi in piedi e torcere il collo di quel dannato nanerottolo, il ladro sapeva che le sue gambe tremolanti non sarebbero state in grado di assecondarlo. E il terrore che quella chiave inglese potesse avventarsi nuovamente su di lui lo spinse a sussurrare un pista ventisette con rancorosa mestizia.
Da quel giorno Topolino tornò a volare con una consapevolezza diversa. Quella di non essere più una vittima del mondo che avrebbe voluto osservare dall'alto. Perché aveva finalmente imparato a guardare le persone in faccia. E a reagire. Volare a bassa quota non lo irritava più.  Spingeva su al massimo la barra di comando, e quando le vibrazioni salivano doveva posizionarla giù, restando a bassa quota. E allora rivolgeva il suo sguardo oltre il cupolino di vetro, e ammirava le nuvole e gli squarci di cielo terso che lui, così come i suoi nemici del mondo grottesco che lo aspetta poco in basso, non sarà mai in grado di raggiungere. Con serenità e malinconia. 
FINE

Tutto qui. Non è granchè, ma mi sono divertito a riscriverla. E vorrei ringraziare quel bambino che oltre un quarto di secolo fa mi ha dato oggi l'ispirazione per farlo.  


sabato 5 luglio 2014

I tronisti 2.0 del Movimento 5 Stelle


Negli ultimi anni una strana metamorfosi ha colpito i tronisti degli show di Maria De Filippi. Per intenderci, quei mascelloni tutti pettorali e bicipiti che riempivano i palinsesti Mediaset del primo pomeriggio, corteggiati secondo stilemi medievali da un esercito di sciacquette in cerca di popolarità.
La metamorfosi si è espressa con l'asciugamento di gran parte della massa muscolare, l'ingentilimento dei tratti somatici, il sensibile miglioramento della dizione, e soprattuto, l'inculcamento di massicce dosi di nozionismo politico. Ed eccoli lì, i tronisti 2.0. La matrona Maria De Filippi rimpiazzata dall'invisibile capocomico Gianroberto Casaleggio. Amministratore delegato della Caseggio Associati. L'unica azienda di marketing al mondo con una sua lobby -il Movimento 5 Stelle- in un parlamento nazionale.
Inizialmente costretti a rimanere nell'ombra, dopo il cambio di strategia della Casaleggio Associati si son trasformati in belve a briglia sciolta, affamati di riflettori e celebrità. Strepitosi venditori del loro prodotto politico. Ce ne sarebbero da citare tanti, ma in questo post ci limitiamo a tre figure tra le più popolari ed efficaci: Alessandro Di Battista, Andrea Scanzi, Luigi Di Maio. Belli, intelligenti (?), intellettualmente puri (???). Tre asset fondamentali per il partito azienda di Gianroberto Casaleggio. Esaminiamoli uno ad uno.

Alessandro Di Battista
Trentasei anni, dal 2013 vicepresidente della commissione Affari Esteri della Camera. Non si capisce bene cosa abbia fatto nella vita prima del suo exploit politico. Il suo curriculum vanta generiche collaborazioni con organizzazioni no profit e progetti educativi e produttivi in Congo e Guatemala. Per carità, ammirevole. Ma qualche dettaglio in più, no? Anche se davanti alle telecamere inumidisce gli occhi con consumata abilità quando afferma che "la cosa che gli piace di più al mondo è scrivere", ha all'attivo soltanto qualche post sul blog di Grillo e un reportage sui sicari colombiani commissionato dallo stesso Casaleggio, e che ha forse venduto due o tre copie nonostante lo stesso editore continui periodicamente a piazzarne i banner nella home page del blog di Grillo dopo ogni apparizione televisiva del nostro. Parlamentare dall'attività politica praticamente nulla ( a sentire il "dissidente" Orellana, si sveglia solo se c'è qualche telecamera intorno),  urlatore con l'aplomb di rivoluzionario d'altri tempi ("Qui fuori gli italiani hanno fame e voi gli avete tolto il pane!"), esagitato ma non troppo per non turbare la sensibilità delle casalinghe di Voghera che nella classifica di gradimento lo hanno ormai sostituito al vecchio Costantino Vitagliano. Dispensatore di ovvietà ("In questo paese un condannato non può fare il bidello ma può sedersi a legiferare!"), abile elargitore di sorrisetti se inquadrato in primo piano, risibile predicatore dell'utopia della democrazia diretta da attuarsi nei server della Casaleggio Associati, è un personaggio fondamentalmente inetto, prodigatore del nulla,  che a volte la spara talmente grande ("La mafia è Civati!") che persino il suo capocomico è costretto a dilazionarne le apparizioni televisive. 

Andrea Scanzi
Giornalista del Fatto Quotidiano. Ma anche autore teatrale, attore e scrittore. Si intende di politica, musica, teatro, calcio, automobilismo, letteratura, cinema, vini e cani. E anche di altro che non ci sovviene. Non è in Parlamento, non è neanche iscritto al Movimento 5 Stelle, allora perchè lo includiamo tra gli asset della Casaleggio Associati? Siamo proprio stupidi.
A sentir lui, un giornalista vero, scomodo, che non si piega, che racconta la verità e mantiene la sua indipendenza intellettuale senza mai scendere a compromessi. Divertente.
L'uomo che "sfancula Grillo ogni giorno", ma nello stesso articolo non dimentica mai di dire che il PD in circostanze analoghe ha fatto peggio. Emblema del giornalismo politico ridotto ad una gara al ribasso, che punta direttamente alla pancia degli italiani senza mai innalzarsi dalla sterile "guerra tra bande". Penna piuttosto scialba, dal sarcasmo prevedivile e ripetitivo che a tratti ricorda il peggior Jerry Calà (una perla per tutte, Renzi Cipì come Citrullino Pingue), è decisamente più garbato in televisione, forte di un innegabile talento nel contraddittorio che permette di dire nulla fingendo di  avere una valanga di contenuti.
Iper-narcisista per sua esplicita ammissione, spende un sacco di tempo nello smontare gli argomenti di chiunque critichi il suo atteggiamento o i suoi interventi o il suo "pensiero". Ma un giornalista  "vero" non dovrebbe avere ben altri pensieri che sprecare tempo con chi se la prende con lui?

Luigi Di Maio
Neanche ventotto anni, vice-presidente della Camera. Il più giovane, il più intelligente e il più bello (anche se con le luci giuste Di Battista è più fotogenico nei primi piani). Studente di giurisprudenza (la laurea che non arriva è l'unica "macchia" della sua carriera), e attivista della prima ora del Movimento 5 Stelle, ha dalla sua un atteggiamento pacato e razionale che bilancia perfettamente i toni sopra le righe di Beppe Grillo e colleghi, estendendo il consenso elettorale a quella fascia di popolazione infastidita dalle parolacce del comico genovese. Sempre elegante, faccia da bravo ragazzo, l'uomo che le casalinghe di Voghera vorrebbero come genero. L'inattesa cadenza partenopea che si insinua in alcune esclamazioni gli restituisce un'immagine di scugnizzo ripulito che lo rende più umano e "vicino" alla gente.  Abilissimo nel contraddittorio televisivo, Luigi Di Maio è una strepitosa macchina del consenso che non ha eguali nel Movimento. Per questo è una delle figure più ricorrenti nei talk show televisivi. A volte bisogna addirittura riflettere una decina di secondi prima di rendersi conto che non c'è poi sostanza nei suoi argomenti, improntati alla solita scontata condanna delle brutture della malapolitica e a proposte generiche e irrealistiche come il reddito di cittadinanza. Ma la maggiorparte del pubblico televisivo non ha voglia di riflettere quella decina di secondi, si sa.

Saranno tali tronisti 2.0 in grado di far del bene al Paese? A voi l'ardua sentenza.