Ci vien voglia di parlare di Giorgio Faletti in questa grigia sonnecchiosa mattina di metà marzo. Passeggiando con la tipica indolenza domenicale per le vie deserte di una città del Nord Jutland, Danimarca, ci imbattiamo in una copia di Øjet der ser esposta in bella vista in una vetrina di una libreria. Il nome dello scrittore nostrano con caratteri a rilievo. Riconosciamo di che libro si tratta dal layout della copertina, identico all’originale italiano. Øjet der ser, cioè occhio che vede, debole adattamento del ben più suggestivo Niente di vero tranne gli occhi. E per un attimo ci scordiamo del Nord Jutland e siamo di nuovo in Italia, nel dicembre 2004, quando della Danimarca sapevamo soltanto che è situata " 'ncoppa alla Germania " e il secondo libro di Faletti era appena uscito in libreria. Faletti è forse il più eclettico degli artisti italiani: si afferma come attore comico e cabarettista di razza, ma nel ’94 quasi vince il festival di Sanremo con una canzone di rara forza espressiva ispirata alle stragi di via D’Amelio e di Capaci, nel 2002 si reinventa scrittore di thriller con l’estenuante Io uccido e vende milioni di copie, forte anche di un massiccio battage pubblicitario e dei commenti entusiastici di qualche critico furbastro e di una grande firma d’oltreoceano (niente di meno che Jeffrey Deaver, che definisce il Giorgione nazionale “bigger-than-life”).
Niente di vero tranne gli occhi è il suo secondo romanzo, assai migliore del primo. Ha una lunghezza di circa 500 pagine, cioè oltre 200 in meno che Io uccido, e ciò è un pregio notevole visto che le ultime 200 pagine di Io uccido si potrebbero strappare senza alcun indugio. Anche qui ambientazione internazionale, principalmente New York e Roma in qualche capitolo, per la storia di un misterioso serial killer che compone i corpi delle sue vittime come i personaggi dei Peanuts. Ad indagare è Jordan Marsalis, figlio del sindaco di New York e fratello di una delle vittime, aiutato da Maureen Martini, una poliziotta italo-americana che ha appena subito un trapianto di cornea ed è spesso vittima di strane visioni... Una vicenda assai complessa, che a tratti ha anche il coraggio di scivolare nel fantasy puro. Ma lo fa in punta di piedi, evitando le cialtronerie di tanta letteratura analoga. Pur essendo uno scrittore thriller, Faletti ha la chiara ambizione di scavalcare i limiti della scrittura di genere. E qui ci riesce meravigliosamente, senza mai inficiare il pathos del racconto. Non ha paura di interrompere la narrazione con lunghe digressioni introspettive sui personaggi, anche quelli secondari, descrivendo con sana cattiveria lo squallore delle vittime, dall’artista folle ed egocentrico alla regista viziata e incapace allo scrittorucolo servile e corrotto. Sa raccontare con finezza psicologica e senza clichès da subplot romantico la storia tra il detective Marsalis e la transessuale Lysa. E sa far rabbrividire il lettore per pura forza di scrittura, senza abusare di colpi bassi ed effettacci splatter.
Faletti non ha più scritto un libro così, nelle prove successive non è più riuscito a dosare gli ingredienti del suo impasto narrativo con tanta sapienza. Ma può ben dirsi orgoglioso di un romanzo come questo. A rischio di sottovalutazione, come capita ai capolavori.
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