Cara Sarah Polley,
ma perché non hai lasciato che il tuo film finisse nel
momento in cui Michelle Williams, su invito dello stesso marito tradito, esce
di casa e corre via alla ricerca dell’uomo che ha capito di amare, ma poi
raggiunge l’oceano, il placido e spietato oceano, e davanti a quella distesa
infinita e invalicabile non può far altro che lasciarsi cadere a terra e
voltare lo sguardo verso lo spettatore in sala? Era lì che ci voleva un bello
stacco su nero su cui far salire i titoli di coda; la protagonista ha
tentato la fuga dalla prigione in cui ha capito di vivere ma ha
scoperto che via di fuga non c’è, e allora, confusa, non può far altro che
voltarsi con una silenziosa richiesta di aiuto, così come faceva il Jean Pierre
Leaud de I quattrocento colpi di Truffaut, anche lui davanti al mare, il mare,
sempre il mare...
Ma invece hai voluto che, quando Michelle Williams si volta
verso lo spettatore, la sua espressione confusa si tramutasse in un sorriso
felice, perché davanti a lei c’era lui, l’uomo che cercava. E soprattutto, hai
voluto appiccicare al tuo film quell’ultimo quarto d’ora che sembra un sequel involuto
e accelerato col tasto forward del videoregistratore, con Michelle che va a
vivere con il suo amatissimo belloccio, si diverte un mondo prima che il grigiore
di una nuova routine torni a farla soffrire, fa una visita all’ex marito, alla
fine capisce che è meglio stare soli che male accompagnati. Ma perché, perché,
perché la necessità di dire così tanto, quando nell’ora e mezza precedente
raccontavi così poco, ma lo facevi così bene?
Davvero, lo fai benissimo.
E lo sai perché?
Davvero, lo fai benissimo.
E lo sai perché?
Perché racconti quello che
poteva essere il più banale dei triangoli sentimentali ma allo spettatore sembra
di non aver mai visto nulla di simile.
Perché scrivi dialoghi in punta di penna ma
che gettati sul viso senza trucco della protagonista non ci sono mai sembrati
così veri.
Perché fai crescere i tuoi personaggi senza
fretta, prendendoli per mano, senza invadenza, suggerendoci il loro dolore
senza sbattercelo in faccia, con rispetto e pudore anche quando ci mostri i
dettagli anatomici di una donna al gabinetto.
Perché per una volta il marito tradito è un personaggio assai più ricco, sfumato e
nobile dell’avventuriero dal fascino irresistibile.
E allora, di nuovo, perché rovinare tutto negli ultimi
quindici minuti? Per un’ora e mezza hai cercato un
equilibrio difficilissimo fatto di colori pastello, visi, lacrime e sorrisi,
parole e silenzi dosati al nanosecondo. Sei stata un'acrobata, una ballerina su un palco di
cristallo fragilissimo, una farfalla che
si posa su una bolla di sapone. Sai bene che un bacio tra i due
protagonisti avrebbe fatto crollare il palco e scoppiare la bolla, e difficilmente
la farfalla sarebbe tornata a volare. E allora perché un minuto dopo il loro
illogico ritrovamento, i due protagonisti sono già pronti ad orge sfrenate
con sconosciuti? Perché metterci di
mezzo l’alcolismo della cognata? Perché “parodiare” una delle scena più belle
del film, quella in cui Michelle Williams e Luke Kirby sono sulla giostra
insieme e la forza centrifuga li avvicina e li allontana e sono tentati a
lasciarsi andare ma alla fine non lo fanno, solo per dirci che Margot è più felice
quando è sola?
Ok, Margot non è tagliata per la vita di coppia, grazie per l'informazione, ma chissenefrega. In quel quarto d’ora finale vuoi dire tanto ma nessuno te l’ha chiesto. Vuoi arricchire il ritratto dell’infelice protagonista ma non fai che renderla banale. La ridondanza è nemica dell’arte, la spoglia dei suoi misteri, la rende insipida e ovvia.
Ma tu, da mostro di talento qual sei, tutto questo lo sai perfettamente. E allora su, a noi puoi dircelo... un compromesso con la produzione? Non te lo perdoniamo, cara Sarah Polley, di aver rovinato un quasi capolavoro. Ma continueremo a seguirti con fiducia. Nel prossimo film tornerai a danzare e il palco non crollerà, ne siamo certi.
Ok, Margot non è tagliata per la vita di coppia, grazie per l'informazione, ma chissenefrega. In quel quarto d’ora finale vuoi dire tanto ma nessuno te l’ha chiesto. Vuoi arricchire il ritratto dell’infelice protagonista ma non fai che renderla banale. La ridondanza è nemica dell’arte, la spoglia dei suoi misteri, la rende insipida e ovvia.
Ma tu, da mostro di talento qual sei, tutto questo lo sai perfettamente. E allora su, a noi puoi dircelo... un compromesso con la produzione? Non te lo perdoniamo, cara Sarah Polley, di aver rovinato un quasi capolavoro. Ma continueremo a seguirti con fiducia. Nel prossimo film tornerai a danzare e il palco non crollerà, ne siamo certi.
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