Molti hanno un sogno nel cassetto.
Tu, invece, i sogni li hai ovunque. Li hai nella credenza e
nel frigo, li hai nelle pentole posate sulle piastre dei fornelli, incastonati
tra i volumi della libreria, sul comodino accanto all’abat-jour. Li hai nella
scarpiera tra le superga blu elettrico e gli stivali di cuoio, li hai
nell’armadio, appesi tra la giacca di tweed e l’impermeabile grigio, li hai nel
lavabo tra le pile di piatti che ti ostini a non lavare.
A volte te ne dimentichi, e quando apri l’armadio e scansi
via le grucce alla ricerca del maglione di lana caprina, non ti accorgi che
stai scansando uno di loro, e finisci per sbattergli le ante in faccia.
Altre volte, invece, ti fermi a parlare con lui.
Non è facile dialogare con un sogno. E’ come parlare con il mare, quando sei sulla riva e
con la spuma delle onde ti solletica giocoso il dorso dei piedi, ma poi alzi lo
sguardo e lo scopri silente e azzurro, freddo, seducente e lontano. Anche il
sogno è vicino e lontano. Ti accarezza bonario con le sue dita sottili come
fili di seta, ma se provi a guardarlo negli occhi finisci per perderti nei
riflessi infiniti di un labirinto di specchi.
Sono spesso indisciplinati, i sogni. Vorresti rimanessero in
frigo, in libreria, nelle pentole, per sollevare i coperchi e sbirciare di
tanto in tanto come bambini curiosi. Ma invece saltano fuori e te li ritrovi
per il corridoio, a intralciare i passi nervosi della tua giornata fatta di
panni da lavare, corse al supermercato e bollette in scadenza. A quel punto cerchi di
ignorarli, di non dar peso alla loro presenza, come si fa con i ragazzini viziati alla ricerca di
attenzioni. Ma alla fine cedi. Ti lasci cadere sul divano, loro si avvicinano a
te saltellando e si dispongono a semicerchio. Ti osservano pazienti. Ma tu non
sei il loro cantastorie.
Cosa volete da me, ti vien da chiedergli. Loro sono forse
stupiti da quella domanda, ondeggiano come campanelli al vento guardandosi,
forse, l’uno con l’altro. Non ti sei accorto di nulla, dice uno di loro, da un
po’ di tempo siamo sbiaditi. Ti massaggi le tempie con l’indice e il medio
mentre rifletti sulle parole del sogno. E’ vero, ultimamente sono sbiaditi. Può qualcosa sbiadire per la noncuranza, per il poco tempo che ci
hai dedicato, chiedi a te stesso. No, la noncuranza è amica della polvere,
dello sporco, del degrado, ma non sbiadisce le cose, non le rende diafane e quasi
trasparenti.
E allora perché, da un po’ di tempo, quando provi a guardare
un sogno negli occhi finisci per guardarci attraverso? Forse la tua vista si è
fatta più acuta? Li ami e li odi, ma non vuoi che svaniscano. Perché quando guardi al di là dei sogni vedi
solo il muro della parete davanti, bianco, anonimo, terrificante. Cosa sarebbe casa
tua senza di loro? Solo uno spoglio sgabuzzino di oggetti polverosi. Potresti
vagare di stanza in stanza sfiorando con la punta delle dita infissi e
soprammobili, accendere la televisione e guardare omini calvi e ballerine, potresti sedere alla scrivania e prendere
appunti sulle spese e i conti da pagare. E scopriresti di essere solo, ti accorgeresti
che non c’è nulla al di là dei contorni degli oggetti, dei supermercati e delle
bollette, delle pareti bianche che ti tengono prigioniero.
Perché dunque avete perso il vostro colore, e adesso riesco
a guardare attraverso di voi come se foste di vetro, ti vien dunque da
chiedere. Il sogno che avevi davanti, quello più loquace ed estroverso, quello
che di solito prende sempre la parola, stavolta tace. Sto parlando con voi,
continui, fate finta di non sentire? E finalmente il sogno risponde. E’ strano,
volevamo chiederti la stessa cosa, dice. La risposta ti infastidisce. Precipiti
in un vortice di domande che non avranno mai risposte. Ti alzi e afferri il
sogno per l’orecchio, lo trascini per tutto l’appartamento fino all’ingresso,
lui non oppone resistenza. Apri la porta e lo sbatti fuori di casa. Torni al
divano, gli altri sono ancora lì, non si sono mossi dal semicerchio. Non
sembrano scossi. Forse qualsiasi cosa tu faccia non può far del male a loro. Al
più, sei solo tu a soffrirne. Hai un sussulto e il sogno che hai appena
cacciato è ora alle tue spalle, provi a sfidarlo con lo sguardo, se non fosse quasi
trasparente potresti giurare che ha sorriso. Sei un idiota, dici a te stesso, davvero
pensi sia possibile scacciare un sogno trascinandolo per le orecchie fuori di
casa? Secondo te basta una stupida porta di legno per tenerlo lontano?
Sconfitto, torni a sedere sul sofà. Lasci cadere la testa
all’indietro e sospiri. Siete sbiaditi ma ci siete, dici, e loro continuano ad
osservarti, silenziosi, oscillando come fuochi fatui. Non ti abbandoneranno, dici
a te stesso. Perderanno a poco a poco colore, ma rimarranno con te. Seducenti e
inafferrabili.
Sei stanco e vuoi andare a letto. Spegni la luce, e come
quelle lampade fluorescenti il cui alone luminoso è solo visibile al buio, i
sogni tornano ad avere un colore intenso. Iniziano a svolazzare per la tua
camera da letto come canarini appena liberati dalla gabbia, birbanti come
scolaretti quando la maestra è assente. Ti infili nelle coperte e chiudi gli occhi,
ma poco conta che tu li tenga chiusi o aperti, i sogni sono sempre davanti a
te, come se adesso fossero le tue palpebre ad essere trasparenti. A poco a poco
il loro svolazzare turbinoso ti confonde, i colori e lo strascico di brillanti e rugiada
che ogni sogno si porta appresso si accavallano come le carte di un abile
prestigiatore.
E non sei più tu in quel letto scomodo dalle assi di legno
curve e il materasso schiacciato.
Ora sei un astronauta che saltella leggero da un pianeta
all’altro come fossero gigantesche palle di gomma fluttuanti nello spazio. Ora sei un attore che con il suo istrionismo ipnotizza la folla attonita del più gremito
teatro del mondo, sei un cantante la cui voce suadente ed eterna si inisuna
placida tra le corde del cuore della gente, sei un calciatore, che segna in
rovesciata il goal decisivo della finale dei mondiali mentre gli spalti si sciolgono
in un boato trionfale. Sei tutto questo
e tanto altro, sei un esploratore che sovrasta superbo con la sua mongolfiera
mari e foreste, sei un re in un castello
dalle pareti d’argento e le colonne d’alabastro, sei un pilota di Formula 1,
sei un equilibrista e un domatore di leoni.
Sei a casa tua e sei ovunque, sei con tua nonna e con tuo
nonno, sei con i tuoi amici d’infanzia che con i cappellini da festa sul capo
ti invitano ad unirti ad un festoso girotondo, sei con Lei, di notte, sdraiato
in riva al mare, sulla sabbia resa azzurra dal riflesso del plenilunio, e nei
suoi occhi verdi c’è il desiderio di sentire le sue labbra al sapore di
ciliegia e salsedine unirsi, lentamente, alle tue.
*****
Le prime luci dell’alba filtrano insolenti tra le veneziane
in alluminio, e apri gli occhi. La stanza non è più buia. E i sogni non ci sono
più. Turbinando gioiosi tra le pareti
della tua camera a poco a poco sono scesi vicino al letto, sono diventati
piccini come lillipuziani, si sono arrampicati a fatica sulla tua coperta
bianca e saltellando tra piumone e lenzuola sono saliti sul tuo viso e sono
entrati nella tua narice sinistra. Hai inalato i tuoi sogni e loro ti sono
esplosi dentro come mille fuochi d’artificio, solo per te. Ma ora lo spettacolo
è finito. Ti metti a sedere sul letto e sospiri. La camera è vuota e un po’
fredda. Ti alzi e cammini nervoso per il tuo appartamento. Non ti è mai sembrato
così spoglio. Ora che i sogni non ci sono, vedi
solo un mucchio di oggetti polverosi intrappolati tra pareti che non ti sono
mai sembrate così opprimenti. Ti lasci cadere sul divano, davanti a te la
parete ti guarda, ma non ha nulla da dirti. Ti scende una lacrima sul viso.
Era dunque tutta illusione quella che, per una notte o per una
vita, ti lasciava dimenticare che non hai nulla. Solo cianfrusaglie e una
prigione, che forse non sono solo le
pareti di casa, che forse ti seguirà anche fuori.
Ma poi ti alzi e ti avvicini
alla finestra, bruscamente tiri su le veneziane e guardi fuori attraverso il
vetro reso opaco dalle tue impronte e dalle macchie di acqua piovana. Davanti, c’è
il selciato del tuo cortile, deserto. Il
vento scuote insolente il morbido manto verde delle due querce al di là della
strada. Il rumore sordo del portone che sbatte, ne esce una donna che infilata in
un giubbotto rosso di cardigan cammina a passo rapido sui suoi tacchi alti
coprendosi parte del viso con una sciarpa viola in lana merinos. E lo vedi, il
sogno, attaccato alla coda della sciarpa che si agita al vento come una
bandiera. Escono due bambini con cappellino di lana verde che si rincorrono
saltellando tra strada e marciapiede. Nelle loro risatine stonate riconosci il
tintinnare della voce del tuo sogno, di
quello loquace, di quello che non riuscivi a zittire. Passa una ragazza dai
lunghi capelli castani mossi, con le cuffie dell’ipod alle orecchie e un viso delicato e fragile dall’aria mogia.
E i piccoli lillipuziani sono lì, saltellano dietro la ragazza cercando
di aggrapparsi al laccio penzolante dei suoi stivali in pellame color mogano.
Attraverso quel vetro sporco vedi tutto questo e vedi te
stesso, parzialmente riflesso, vedi la tua immagine quasi diafana sovrapporsi
al mondo che hai davanti. Forse sei tu che rischi di svanire, di diventare
trasparente e vacuo, se ti ostini a rimanere lì, tra quelle quattro pareti. E invece i sogni non sono svaniti. Sono solo fuggiti via. Non ha più senso cercarli nell’armadio, nel frigo, nelle pentole o
sotto le coperte.
Sorridi. Ti infili una giacca ed esci di casa. In fondo, sei ancora in
tempo a raggiungerli.