Soggiogati dai numerosi commenti entusiastici di amici e conoscenti, abbiamo vinto la nostra atavica ritrosia alle serie televisive e ci siamo sparati l’intera prima stagione di Lost.
Un commento a caldo? Beh, innanzitutto la storia di questi survivors confinati in un’isola ricca di misteri è spudoratamente confezionata dai suoi autori per compiacere la fetta più ampia del pubblico televisivo. Quello che non si chiede come mai questi naufraghi abbiano sempre taglio di capelli e rasatura perfetta, indossino vestiti diversi ad ogni episodio, non dimagriscano di un grammo, non abbiamo crisi isteriche nè si lamentino granchè della dieta a base di avocado e pesce. Al confronto, Cast Away di Zemeckis è un capolavoro del genere documentario.
Sicuramente gli autori sono abbastanza scaltri da sapere che un racconto realistico del dramma di un gruppo di sopravvissuti non è certo materia da ascolti record, e infarciscono la vicenda di grossolani e posticci elementi mistery che sembrano studiati a tavolino per appassionare i nerd di tutto il mondo. Sequenze numeriche sfigate, neonati maledetti, segnali radio indecifrabili, botole sigillate, apparizioni di orsi polari, e tanto tanto altro: lo script procede accumulando senza freno tutti questi elementi e alla fine della serie non ha ancora spiegato nulla. C’è da scommetterci che anche nelle serie successive, qualcosa se lo perderà per strada.
Comunque arrivare alla fine dei venticinque episodi non è stata una gran fatica. Nonostante qualche momento di stanchezza e le inevitabili lungaggini, la serie è infatti strutturata con abilità e si lascia seguire. Uno spettacolo innegabilmente accattivante quanto privo di fascino, insomma, dove una fotografia uniforme rende sciatta una giungla che si vorrebbe fitta di misteri, e una regia puramente espositiva non riesce a mascherare la furbesca cialtroneria dello script.
Ma quello che rende Lost uno spettacolo vincente non è tanto il forzato lato thrilling quanto l’attenzione all'umanità dei personaggi; la serie racconta sogni, debolezze, ferite e conflitti edipici di ognuno di loro, e a tratti riesce addirittura a commuovere. Alcuni, come l'ex paralitico John Locke o il finto cinico Sawyer, non si dimenticano facilmente. In tal senso, i numerosi flashback che raccontano la vita dei personaggi prima dell’incidente aereo che li ha portati sull’isola sono assai più riusciti e convincenti del racconto fasullo della loro esistenza da sopravvissuti.
Altra nota assai positiva: l’assenza di sigle snervanti ad ogni episodio. Soltanto uno schermo nero su cui appare il titolo in bianco, che in pochi secondi si avvicina allo spettatore per poi sparire. Semplice. Essenziale. Gradito.
Resisti fino alla terza seria, poi puoi anche smettere..
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