Habemus papam di Nanni Moretti (visto con oltre un anno di
ritardo in un cinema danese) sembra uno di quei film nati da un’ intuizione
folgorante trasformata presto in ostinato capriccio, di quelli che solo
cineasti all’apice della carriera possono permettersi nonostante, a carte
in tavola e mente lucida, l’idea iniziale riveli poi la propria debolezza e
pretestuosità. In un certo senso,
Habemus papam rappresenta infatti la materializzazione di uno di quei deliranti sogni
morettiani generosamente centellinati nel cinema del regista romano, basti
pensare al musical ambientato in pasticcieria in Aprile o al lupo mannaro di
Sogni d’oro. Moretti dev’essere stato
affascinato dall’immagine di un papa in crisi che incontra uno psicologo, nonché dall’idea di un torneo di pallavolo tra gli attempati cardinali tra le mura
vaticane. E invece di farne una semplice clip come quelle già leggendarie de Il caimano, stavolta
ci ha costruito attorno un’intera opera.
Il problema è che, nel momento in cui
si mettono in scena massimi sistemi come religione, scienza, psicanalisi,
darwinismo e crisi esistenziale, le ambizioni del film crescono a misura
esponenziale e con loro il rischio di fallimento. Habemus papam non è un film
riuscito. I temi affrontati avrebbero richiesto ben altro coraggio, ispirazione
e forza espressiva. Moretti racconta invece la sua incredibile vicenda con occhio minimalista e senza alcuna ricerca di realismo, con i porporati
descritti come bonari buontemponi e Roma come una città colma di gente generosa
e sempre disposta a farsi in quattro per aiutare un anonimo anziano in
difficoltà. Una favola, dunque, ma semplicistica e fortemente irrisolta. Se nel
precedente Il caimano Moretti aveva
avuto per la prima volta il coraggio di farsi da parte e lasciare l’intera
scena al protagonista Silvio Orlando, qui se la spartisce con Michel Piccoli.
Con il risultato che il film non riesce a scavare nelle inquietudini di questo
papa né a dare un vero senso al suo criptico psicanalista. Certo, non mancano i
momenti straordinari, come quando il papa rivela timidamente il suo sogno
giovanile di diventare un attore, o l’immagine evocativa del balcone vuoto con
le tende rosse mosse dal vento, o la scena dei cardinali che ondeggiano e
battono le mani al ritmo di Todo Cambia di Mercedes Soza, o Moretti che arbitra la partita di
pallavolo dei cardinali mentre sproloquia sulla spietatezza del darwinismo. Ma
sono perle disperse in un generale grigiore. Forse Moretti voleva proprio
mettere in scena la pretestuosità dei massimi sistemi davanti alle debolezze
della vita. O forse il film va preso per quello che è, un divertissement. Che
però divertente lo è solo a metà.
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