Insomma alla fine Paolo Sorrentino ce l'ha fatta.
A nove mesi dalla delusione Cannes, dove La grande bellezza fu completamente ignorato dalla giuria presieduta da Steven Spielberg, il regista napoletano si è preso la sua bella rivincita sul palcoscenico più celebre, quello che scrive il tuo nome nella storia, che lascia un titolo indelebile per il resto della carriera.
Da domenica scorsa Paolo Sorrentino è il Premio Oscar Paolo Sorrentino. Altro che Commendatore, Cavaliere, Onorevole o Avvocato. E Premio Oscar lo sarà sempre, dovesse girare d'ora in poi solo ciofeche.
Non è il suo film migliore, La grande bellezza. Almeno Il divo e il sottovalutatissimo L'amico di famiglia gli sono superiori. E' un film fiero e fin troppo sicuro del suo fascino, che a tratti dice troppo e a tratti troppo poco, che non graffia come vorrebbe, che gira un po' a vuoto come il protagonista Jep Gambardella nella città eterna, "bella e indifferente come una diva morta", tra qualche citazione letteraria e fenicottero digitale di troppo. Ma è anche un'opera che seduce, che commuove e fa riflettere, che a tratti brucia d'incanto (basti pensare all'incontro inatteso con Fanny Ardant, o all'episodio della bambina artista, o allo sguardo vitreo della Ferilli viva e morta). E' un film massimalista e intimo allo stesso tempo, un connubio che in Italia non si vedeva da tantissimi anni.
Come ha reagito l'Italia alla notizia dell'Oscar? Naturalmente da domenica sera sono tutti grandi amici di Paolo Sorrentino. Persone che neanche l'avevano sentito nominare o al più lo confondevano con il coetaneo collega Matteo Garrone, si dichiarano adesso orgogliosi e ne parlano come di un affezionato vicino di casa che hanno visto crescere. E La grande bellezza è un capolavoro per tutti, anche per quelli che non l'hanno visto, o per quelli che l'hanno visto e non ci hanno capito una mazza. Il grande circo mediatico italiano, che va dalle tv e i principali giornali ai social network, fa gara a chi la spara più grossa (o semplicemente, più banale). Ridicole strumentalizzazioni politiche (un plauso va al solito inossidabile Sallusti, che ha affermato "Ci son voluti gli americani, direi il mondo intero, per riconoscere che Mediaset non è l’associazione a delinquere immaginata dai magistrati") , patriottismo spiccio, orgoglio nazionale rinato, sermoni sul grande valore dell'Italia e degli italiani, sulla loro capacità di riscatto, sulla bellezza dell'Italia rappresentata nel film. E naturalmente i bastian contrari, quelli che dicono no, non avete capito niente, è un film critico sull'Italia, un film che mostra la decadenza del nostro Paese, con quelle personcine così vuote che pensano solo ai trenini e quegli intellettuali di sinistra così snob e quei preti che pensano a cucinare invece che a pregare. Quando basta scendere un pelo sotto la superficie per capire che l'ambizione del film di Sorrentino va ben oltre le nostre misere scaramucce italiote, che La grande bellezza non è un film sull'Italia ma sulla società occidentale, sulla solitudine e sul disorientamento, sul rimpianto e la ricerca di un senso nelle cose.
E a vincere l'Oscar non è stata l'Italia, ma un grande talento italiano. E' diverso.
Ma da Nord a Sud hanno tutti acclamato il film di Sorrentino, almeno fino alla sua messa in onda su Canale 5 di martedì sera, quando lo share è crollato del cinquanta per cento dalla prima alla seconda parte, con il pubblico mariadefilippizzato che si aspettava forse una sorta di kolossal di cartapesta à la Tornatore e si è trovato davanti un'opera cupa e meditabonda e certo non di immediata fruizione.
Nella banda di cialtroni che non riesce proprio a tener la bocca chiusa, tra il distributore Rossella che si prende parte del merito della vittoria e la Ferilli che frigna perchè non l'hanno invitata alla premiazione, tra Renzi che ne approfitta per la solita passerella politica e Alemanno che si accorge fuori tempo di come sia importante investire nella bellezza di Roma, il più silenzioso, umile e autentico è stato proprio lui, Paolo Sorrentino.
Un quarantenne con faccione anonimo da impiegato comunale, che si ritrova al Dolby Theatre di Los Angeles goffamente ingessato in uno smoking al fianco di centinaia di star hollywoodiane dal look studiatissimo, che viene chiamato sul palco e ringrazia impacciato con un inglese da ragazzino di prima media ripetendo una lista che sembra studiata a memoria. E che non si porge a orgoglioso rappresentante del suo Paese ma menziona i suoi idoli dell'adolescenza e gli affetti più cari, moglie, familia e genitori. Per poi sparire dai riflettori.
Talento e umiltà. Sono questi gli italiani che ci piacciono e che vorremmo vedere più spesso. Sono loro la grande bellezza.
A nove mesi dalla delusione Cannes, dove La grande bellezza fu completamente ignorato dalla giuria presieduta da Steven Spielberg, il regista napoletano si è preso la sua bella rivincita sul palcoscenico più celebre, quello che scrive il tuo nome nella storia, che lascia un titolo indelebile per il resto della carriera.
Da domenica scorsa Paolo Sorrentino è il Premio Oscar Paolo Sorrentino. Altro che Commendatore, Cavaliere, Onorevole o Avvocato. E Premio Oscar lo sarà sempre, dovesse girare d'ora in poi solo ciofeche.
Non è il suo film migliore, La grande bellezza. Almeno Il divo e il sottovalutatissimo L'amico di famiglia gli sono superiori. E' un film fiero e fin troppo sicuro del suo fascino, che a tratti dice troppo e a tratti troppo poco, che non graffia come vorrebbe, che gira un po' a vuoto come il protagonista Jep Gambardella nella città eterna, "bella e indifferente come una diva morta", tra qualche citazione letteraria e fenicottero digitale di troppo. Ma è anche un'opera che seduce, che commuove e fa riflettere, che a tratti brucia d'incanto (basti pensare all'incontro inatteso con Fanny Ardant, o all'episodio della bambina artista, o allo sguardo vitreo della Ferilli viva e morta). E' un film massimalista e intimo allo stesso tempo, un connubio che in Italia non si vedeva da tantissimi anni.
Come ha reagito l'Italia alla notizia dell'Oscar? Naturalmente da domenica sera sono tutti grandi amici di Paolo Sorrentino. Persone che neanche l'avevano sentito nominare o al più lo confondevano con il coetaneo collega Matteo Garrone, si dichiarano adesso orgogliosi e ne parlano come di un affezionato vicino di casa che hanno visto crescere. E La grande bellezza è un capolavoro per tutti, anche per quelli che non l'hanno visto, o per quelli che l'hanno visto e non ci hanno capito una mazza. Il grande circo mediatico italiano, che va dalle tv e i principali giornali ai social network, fa gara a chi la spara più grossa (o semplicemente, più banale). Ridicole strumentalizzazioni politiche (un plauso va al solito inossidabile Sallusti, che ha affermato "Ci son voluti gli americani, direi il mondo intero, per riconoscere che Mediaset non è l’associazione a delinquere immaginata dai magistrati") , patriottismo spiccio, orgoglio nazionale rinato, sermoni sul grande valore dell'Italia e degli italiani, sulla loro capacità di riscatto, sulla bellezza dell'Italia rappresentata nel film. E naturalmente i bastian contrari, quelli che dicono no, non avete capito niente, è un film critico sull'Italia, un film che mostra la decadenza del nostro Paese, con quelle personcine così vuote che pensano solo ai trenini e quegli intellettuali di sinistra così snob e quei preti che pensano a cucinare invece che a pregare. Quando basta scendere un pelo sotto la superficie per capire che l'ambizione del film di Sorrentino va ben oltre le nostre misere scaramucce italiote, che La grande bellezza non è un film sull'Italia ma sulla società occidentale, sulla solitudine e sul disorientamento, sul rimpianto e la ricerca di un senso nelle cose.
E a vincere l'Oscar non è stata l'Italia, ma un grande talento italiano. E' diverso.
Ma da Nord a Sud hanno tutti acclamato il film di Sorrentino, almeno fino alla sua messa in onda su Canale 5 di martedì sera, quando lo share è crollato del cinquanta per cento dalla prima alla seconda parte, con il pubblico mariadefilippizzato che si aspettava forse una sorta di kolossal di cartapesta à la Tornatore e si è trovato davanti un'opera cupa e meditabonda e certo non di immediata fruizione.
Nella banda di cialtroni che non riesce proprio a tener la bocca chiusa, tra il distributore Rossella che si prende parte del merito della vittoria e la Ferilli che frigna perchè non l'hanno invitata alla premiazione, tra Renzi che ne approfitta per la solita passerella politica e Alemanno che si accorge fuori tempo di come sia importante investire nella bellezza di Roma, il più silenzioso, umile e autentico è stato proprio lui, Paolo Sorrentino.
Un quarantenne con faccione anonimo da impiegato comunale, che si ritrova al Dolby Theatre di Los Angeles goffamente ingessato in uno smoking al fianco di centinaia di star hollywoodiane dal look studiatissimo, che viene chiamato sul palco e ringrazia impacciato con un inglese da ragazzino di prima media ripetendo una lista che sembra studiata a memoria. E che non si porge a orgoglioso rappresentante del suo Paese ma menziona i suoi idoli dell'adolescenza e gli affetti più cari, moglie, familia e genitori. Per poi sparire dai riflettori.
Talento e umiltà. Sono questi gli italiani che ci piacciono e che vorremmo vedere più spesso. Sono loro la grande bellezza.
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