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domenica 12 giugno 2011

Mia sorella è una foca monaca

 
A leggere qua e là i prevedibili elogi di firme (pseudo)illustri, Mia sorella è una foca monaca, romanzo di esordio di Christian Frascella, sembrava il solito caso editoriale fasullo costruito ad arte dai nostri editori furbastri. Nè si può dire che l’idea di un romanzo adolescenziale di formazione ambientato nella sonnacchiosa provincia italiana di fine anni ’80 avesse alcunchè di originale o di appealing. Eppure Mia sorella è una foca monaca ci ha piacevolmente sorpreso. La storia di questo diciassettenne di cui non scopriremo mai il nome, rissoso e sbruffone, che considera chiunque gli si pari davanti un idiota o uno sfigato o un mezzo uomo, salvo poi prendercele da chiunque (ragazze comprese), è divertente e si legge tutta d’un fiato. E finalmente interrompe una boriosa tradizione di storie di ragazzini ipersensibili che vogliono fuggire da una provincia rozza e volgare che non saprà mai capirli. Il protagonista di questo romanzo, invece, sguazza nel suo paesello piemontese come un pesce balestra nel mar dei Caraibi, e dalla vita non chiede altro che un impiego da operaio metalmeccanico e l’amore di Chiara, la gastronoma del minimarket a cui non può evitare di guardare il sedere.  E’ vero, come scrive Giuseppe Genna in prefazione, che il diciassettenne di questa storia riecheggia illustri “perdenti di talento” come Il giovane Holden o l’Arturo Bandini dei romanzi di John Fante. Ma vengono in mente anche riferimenti cinematografici come l’Ovosodo di Virzì o l’americano SuperBad, film straordinario (vedi il trailer in basso) che una distrubuzione demente ha venduto come l’ennesima commediola pecoreccia alla American Pie. In Superbad il regista Greg Mottola compie un’operazione assai simile a quella di Fascella: raccontare la sbruffonaggine degli adolescenti per svelarne l’insicurezza e la paura di vivere.  Come Mottola, anche lo scrittore torinese è bravo a far emergere l’umanità di questo James Dean dei poveri senza mai ricorrere a piagnistei e luoghi comuni; e lo fa con una prosa che a primo impatto sembra un po’ tirata via, ma invece gronda ironia caustica e sorprendente sagacia descrittiva nel deformare personaggi tutto sommato ordinari nell’ottica iperrealista e scazzata del suo antieroe.
D’altronde, come non prendere a simpatia un romanzo con un incipit così: “Ci pestammo a lungo nello spiazzo dietro la scuola”?
Bravo, Christian Frascella. Siamo ora curiosi di leggere il tuo secondo romanzo. 



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