Gennaro Morelli era un ragazzo solare, aperto, esuberante, spiritoso e dalla
risata contagiosa. Una di quelle persone che è sempre un piacere avere al
proprio fianco, che è in grado di risollevarti il morale nelle giornate più dure.
Una di quelle persone con il dono di piacere a tutti. Aveva però una caratteristica alquanto bizzarra: quando incontrava un amico, si immobilizzava per un istante fissandolo con occhi spiritati, poi batteva a terra il piede destro a mo’ di soldato, allungava un braccio
verso di lui ed esclamava: “M’ha fregato cent’euro ‘sto figlio di puttana!”. Dopodiché
lo abbracciava con affetto cameratesco e con sonore pacche sulla spalla, gli
chiedeva di lui e che fine avesse fatto, e i due amici se ne andavano a zonzo insieme tra risate fragorose e allegri spintoni.
Non era assolutamente vero che tale amico avesse usufruito
delle finanze di Gennaro. Era solo il suo modo di salutare. Molti dicono: “Ohi
ciao, grande!”. Gennaro diceva: ”M’ha fregato cent’euro ‘sto figlio di puttana!”.
All’inizio gli amici erano abbastanza stupiti da quell’espressione e gli
chiedevano un po’ piccati a cosa diavolo si riferisse. Ma presto impararono ad
apprezzarla; era divertente, insolita, una caratteristica unica che faceva di
Gennaro una persona ancora più speciale.
Un giorno Gennaro aveva spiegato l’origine di quella sua
curiosa singolarità, che risaliva ai tempi in cui era studente alla facoltà di
economia. Una volta era malato e con la febbre a quaranta, chiuso in casa senza
la forza di alzarsi dal letto. Nessuna medicina e frigorifero vuoto; era il suo
turno di fare la spesa ma naturalmente non l’avrebbe fatta. Per di più, aveva
notato poco prima che dal suo portafoglio era sparita una banconota di taglio
elevato. Aveva iniziato a sospettare del suo inquilino Giuseppe, che forse
aveva rubato i suoi soldi e lo aveva lasciato lì a morire di fame e di
influenza. Ma improvvisamente Giuseppe era rientrato a casa con due buste del
Tigre di cui una piena di cozze calabresi. E poi gelato, caramelle, nutella e
tanto altro. In più, gli aveva riversato sul letto una busta di scatolette di Efferalgan,
Tachipirina e Zitromax. Giuseppe aveva preparato l’impepata di cozze con
contorno di patate fritte e ketchup, e aveva servito il suo amico a letto.
Mentre si ingozzava di cozze e ketchup e riacquistava le energie annebbiate dal
febbrone da cavallo, Gennaro aveva rivolto a Giuseppe uno sguardo pieno di
sincera gratitudine esclamando: “M’ha fregato cent’euro ‘sto figlio di puttana!”.
E i due amici erano scoppiati a ridere all’unisono.
Da quella volta Gennaro non era riuscito ad evitare di
rivolgersi così a qualsiasi amico che era contento di incontrare. Un modo unico
per esprimere un affetto sincero e privo di stucchevoli smancerie.
Ma un brutto giorno le cose cambiarono. Successe quando Gennaro
e i suoi colleghi dell’aziendina di pomelli da lavandino in cui lavorava uscirono
a prendere una birra in un pub irlandese, e per la prima volta si unì anche
Saverio, il loro superiore. Era questi un ometto sulla quarantina calvo e dall’aria
austera, che di rado scambiava la minima confidenza con i suoi impiegati. Era sempre serio e non rideva mai. Ma
con grande sorpresa, quella sera Gennaro e colleghi scoprirono un Saverio inedito
e sorprendente. Bastavano un paio di birre perché lui si lanciasse in una serie
di spassosissimi aneddoti sui suoi viaggi di lavoro o sulle sue conquiste
erotiche di quando aveva dieci anni di meno e qualche capello in più. Alla
terza birra si dedicò poi a riuscitissime imitazioni dei colleghi non presenti,
che fecero letteralmente spanciare dal ridere Gennaro e gli altri. Poi nel
locale misero su una Riverdance e
Saverio si tuffò in pista ancheggiando con inattesa perizia al ritmo di quel
ballo appreso quand’era studente erasmus a Dublino. Un personaggio
straordinario, insomma, una vera rivelazione!
Quando il giorno dopo Gennaro
entrò in ufficio, Saverio lo salutò con una eloquente e complice alzata di
sopracciglia che stava a significare: ”Grande serata ieri, eh?”. E Gennaro lo fissò, battè il tacco a terra e indicandolo con il braccio esclamò: ”M’ha fregato
cent’euro ‘sto figlio di puttana!”. L’espressione sul viso di Saverio mutò all’istante.
Gli diede subito le spalle e si allontanò. Gennaro, esterrefatto, si chiese
come diavolo gli fosse uscito quel saluto con lui, che dopotutto era sempre il
suo capo. Con tragica preoccupazione pensò che Saverio avesse potuto trovarci
un riferimento al fatto che la sera prima Gennaro gli aveva offerto le ultime
tre birre perché Saverio non aveva banconote di piccolo taglio. Lo seguì dunque
per il corridoio, lo fermò e si scusò. Gli spiegò che quell’espressione era
solo un suo modo di salutare, che diceva quella cosa a tutti i suoi amici, che non
si riferiva a nulla di specifico. Ma Saverio lo liquidò con un gelido “E’ la
scusa più idiota che io abbia mai ascoltato”.
Da quel giorno qualcosa cambiò in Gennaro. Continuò per un
po’ a salutare i suoi amici con il solito “M’ha fregato cent’euro ‘sto figlio
di puttana!”, ma con tono quasi dimesso, senza entusiasmo, senza neanche battere il piede a terra. E poi smise del tutto. La sua colorita espressione
si convertì in un misero Cia... biascicato a labbra socchiuse. Gennaro non
sorrideva più, non riusciva più a trasmettere quella straordinaria gioia di
vivere che lo rendeva così popolare tra gli amici.
A lavoro Saverio non gli dava più alcuna confidenza, a volte
evitava il suo sguardo in modo quasi ostentato. Quando l’azienda si trovò a
fronteggiare le prime avvisaglie della crisi finanziaria, Saverio sapeva già
qual era il primo nome da depennare nella lista dei suoi dipendenti.
E così Gennaro perse il lavoro. Prese a trascorrere intere
giornate chiuso in casa davanti alla televisione a far nulla, e se un amico
passava a trovarlo lo accoglieva svogliato, non gli offriva neanche un bicchier
d’acqua e lo lasciava parlare senza ascoltarlo. Era sparito il suo saluto
tipico. E con esso, sembrava sparito Gennaro stesso.
I suoi amici non ce la facevano più a vederlo così, si
chiedevano dove fosse finito il suo sguardo scintillante e la sua battuta
pronta, e volevano che tornasse quello di prima. Ma non sapevano proprio come
aiutarlo. Finché Fabiola, una ragazza che lo conosceva dall’infanzia e che era
da poco laureata in psicologia, ebbe un'idea. “Dobbiamo far rivivere la
situazione che lo ha portato ad essere quello che era e a dire quel che ha
detto, disse. Dobbiamo far sì che lui ci guardi e pensi di nuovo con gioia: ‘M’ha
fregato cent’euro ‘sto figlio di puttana!’ E’ il solo modo di farlo tornare ad essere quello di un tempo“.
Nonostante i ragionevoli dubbi, gli amici di Gennaro decisero
di seguire il piano di Fabiola. Una domenica mattina un certo Michele si recò
dunque da Gennaro, con notevole fatica riuscì a scuoterlo dalla sua
indolenza e lo convinse a venir fuori con lui per un giro in macchina. Con una vecchia Cinquecento andarono dunque fuori città, su e giù per le colline. Si fermavano
davanti a prati dove pascolavano centinaia di pecore e Michele diceva: “Guarda
Gennaro, guarda come sono belle, senti che delicato profumo di stalla e letame”,
ma Gennaro sembrava non avere alcuno stimolo, lo seguiva come uno zombie. “Ho
un po’ fame, Michele, sono le due”. “Ma lascia perdere il mangiare, Gennaro,
godiamoci il sole e la natura, che cazzo!”. E continuavano a gironzolare per le
campagne. Data la sua reattività pari a quella di un gufo imbalsamato, non fu
difficile sfilargli cento euro dal portafogli senza che se ne accorgesse. Nel
frattempo, Fabiola e gli altri avevano comperato cinque chili di pecora
imporchettata, ci avevano infilato dentro due pernici e l’avevamo messa a
rosolare lentamente allo spiedo bagnandola in un soffritto di lardo di
Colonnata. Poi avevano tritato due chili di interiora di agnello che avevano
cotto nel burro e nella senape infilandoci croste di maiale arrosto come
fossero cialde in una coppa gelato. Al calar del sole, Michele aveva dunque
svoltato verso casa di Fabiola. “Passiamo a prendere Fabiola, aveva detto”. “Michele,
sono le sette, io ho un po’ fame, non mi importa nulla di passare da Fabiola”. “Ma
smettila!”.
Un odore penetrante di pecora arrosto invadeva l’intera scalinata
del palazzo di Fabiola. Michele e Gennaro giunsero dunque al suo appartamento,
e… sorpresa! Tutti gli amici erano lì, davanti ad un tavolo di pietanze
fumanti. Fabiola si avvicinò sorridente a Gennaro che però non sembrava affatto
colpito. “Sappiamo che hai una fame da lupi, non hai mangiato tutto il giorno!
Abbiamo quindi pensato di preparare questo spuntino per te. Ma non credere che
ti stiamo facendo un regalo, è a spese tue, sai? Controlla il portafogli,
Michele ti ha fregato cento euro! Siamo proprio dei figli di puttana, eh?”. Fabiola si aspettava che sul suo viso
inespressivo si riaccendesse il sorriso di un tempo, che battesse poi il piede
a terra e allargando le braccia a semicerchio urlasse a squarciagola: “M’hanno
fregato cent’euro ‘sti figli di puttana!”. E invece Gennaro, impassibile, diede
uno sguardo rapido a quella tavolata di carne arrosto immersa nel grasso
sfrigolante. “Sono pescetariano”, disse. “Siete miei amici, dovreste saperlo”.
La serata terminò lì, con l’imbarazzo dei vari amici che
infagottavano le pietanze nella carta stagnola mentre Michele riaccompagnava
Gennaro nel suo appartamento. Dopo quella serata, nessuno vide più Gennaro. Le
serrande di casa sua erano sempre chiuse, i vicini non sapevano nulla, era
anche sparito da facebook.
Spesso parlavano di lui, a cena insieme lo ricordavano quand’era
felice e pieno di vita. Secondo alcuni era barricato in casa, secondo altri era
fuggito all’estero. Ma pur nella sua apparente depressione, aveva trovato il
modo di salutarli. La famosa sera della cena non riuscita, approfittando forse
della distrazione mentre impacchettavano le cibaglie intonse, era riuscito ad infilare le dita nel portafoglio di ognuno di loro. “C’ha fregato cent’euro
quel figlio di puttana!”.