Il discorso è il solito. L’individuo o la società. In Italia
scegliamo il primo, in Danimarca la seconda. L’Italia è funestata da un debito
pubblico devastante ed è in rischio default. La Danimarca è un isola felice nel
caos dell’economia europea. In Danimarca le tasse sono al trentotto per cento.
L’evasione fiscale è minima e i servizi sono eccellenti. L’istruzione è
gratuita fino alle scuole superiori. All’università, invece, gli studenti
danesi vengono addirittura pagati per studiare. Per la cronaca, ricevono una “borsa”
mensile di circa ottomila corone, ovvero intorno ai mille euro. Più dello
stipendio di un dottorando italiano. Inoltre, per gli studenti danesi è assai
facile ottenere fondi pubblici o privati per esperienze di vario tipo, ad
esempio semestri di studio all’estero. Conosco un ragazzo che ha preparato la
tesi in ingegneria delle telecomunicazioni in Virginia (USA), completamente
sponsorizzato da una fondazione filantropica. E nonostante ciò, sono
relativamente pochi i danesi che si iscrivono all’università. Molti
preferiscono lavorare. La floridezza dello stato sociale assicura un tasso di
disoccupazione tra i più bassi d’Europa, quindi tanto meglio cercarsi un lavoro
se non si ha voglia di passare le giornate davanti ai libri. All’università ci
va solo chi ha voglia di studiare. L’università è altamente
professionalizzante, e ha una sinergia molto stretta con il mondo aziendale,
che spesso finanzia molti progetti di ricerca. Molti decidono di iscriversi all’università
dopo aver lavorato per alcuni anni, con l’obiettivo di accrescere le proprie
competenze in un settore che già si conosce. Per questo anche tra le prime classi
non si vedono solo diciottenni ma l’età è piuttosto variegata.
In Italia all’università ci vanno quasi tutti, nonostante si
paghi e neanche poco. Anche chi alla fine delle superiori sa a malapena leggere
e scrivere, si iscrive all’università. Tanto il lavoro non si trova, dicono,
quindi meglio parcheggiarmi lì che forse poi arrivo a prendere anche una laurea
e poi trovo un lavoro più migliore assai. Un po’ il talento che manca, un po’
la voglia di studiare che scema davanti alle belle giornate assolate del
Belpaese, un po’ i programmi di studio delle varie facoltà troppo densi, ed
ecco che l’esercito dei fuoricorso cresce a livello esponenziale. E sì che
qualcuno adesso ha finalmente capito che forse era meglio farsi in quattro per
cercare un lavoro dopo le scuole superiori invece di ammuffire nelle proprie ambizioni di successo accademico.
La maggiorparte delle università italiane sono completamente sconnesse dal mondo del lavoro. Usano metodi e programmi vecchi di decenni e mirano ad una preparazione più didascalica che davvero teorica che riempie la testa dello studente di nozioni che dimenticherà presto e non saprà mai come adattare al suo futuro impiego.
In Italia, al Professore si dà del Lei o del Voi. E’ una
figura che saltuariamente solca i corridoi dei comuni mortali e va sempre in
giro in giacca e cravatta. Bisogna esprimere reverenza anche servile nei
confronti del Professore, perchè, appunto, Lui è un Professore e noi non siamo
nulla. In Danimarca, gli studenti si rivolgono al professore chiamandolo per
nome. Un eventuale denominazione “Professor” genererebbe inevitabilmente costernazione
e ilarità in quest’ultimo. Il professore è un collega più anziano che cerca di
mettere la sua esperienza a servizio dei più giovani. Li assiste, e cerca anche
di crescere e migliorare a contatto con le loro menti più dulleabili e aperte.
In Danimarca un professore, ma anche un ingegnere, un medico, un avvocato, ama
il suo lavoro perché lo ha scelto per passione e ci trova una sua missione. In
Italia, un Professore o un Ingegnere o un Dottore o un Avvocato hanno
perseguito il loro titolo principalmente per la funzione sociale che ne deriva,
che suscita ammirazione e rispetto servile nei confronti delle masse sprovviste
di titoli. Poco conta, poi, se si è totalmente incompetenti o si fa un lavoro
che non c’azzecca nulla con la laurea: un Ingegnere è un Ingegnere a vita.
In Danimarca, i titoli di studio riconosciuti sono il
Bachelor, il Master of Science, Il PhD. Il Bachelor corrisponde alla nostra
laurea di primo livello, il Master of Science alla laurea specialistica, il PhD
al dottorato di ricerca. Questi titoli sono riconosciuti non solo formalmente,
ma a ciascuno di solito corrisponde un inquadramento retributivo differente nel
mondo del lavoro.
In Italia la laurea, la laurea, la laurea, viene considerata
importantissima. Salvo poi accorgersi che non ti serve a nulla, se non come
lasciapassare per un lavoro che avresti potuto fare anche con la terza media.
Il dottorato di ricerca, invece, che non solo in Danimarca ma in qualsiasi
altro paese al mondo viene considerato per inquadramento lavorativo di alto
livello, in Italia non serve a nulla se non per qualche vaga speranza di
carriera universitaria. Moltissimi non sanno neanche cosa sia. La spiegazione è
banale, come sempre: il Italia il potere è in mano alla casta degli ordini professionali,
che il dottorato non l’hanno preso. L’Italia è l’unico paese al mondo in cui ci si fregia del titolo di Dottore con quella che chiamiano laurea invece che con
il dottorato di ricerca. Cari orgogliosi Dottori italiani, che strombazzate il
vostro titolo sugli elenchi telefonici e sulla targa all’ingresso di casa
vostra: all’estero dottori non lo siete affatto.
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