Si può esprimere ammirazione per una persona senza scadere
nella banale adulazione. L’ammirazione sta all’adulazione come una poesia di Prévert sta ad una frase dei Baci Perugina. Magnificare con ridondanza e ampio
spiegamento di braccia le doti fisiche, o sportive, o intellettuali, o
estetiche, o chissà che altro di un individuo, naturalmente quasi sempre e solo
al suo cospetto, nasconde una pochezza e un vuoto interiore da far girare la
testa. Chi ammira è sincero, chi adula la sincerità non sa neanche cosa sia.
Chi ammira sa benissimo che le parole sono importanti, e sa come usare e
dosarle. Chi adula, usa sempre frasi fatte perché non è in grado di elaborarne
di proprie. Chi ammira ha il dono della sintesi, chi adula continuerà a
ripetere le stesse cose in eterno senza neanche rendersene conto. Chi ammira, si
sente vicino alla persona di cui parla. Chi adula, è affetto da un senso di
inferiorità più o meno consapevole che gli rode l’anima. Diffidate degli
adulatori: hanno una visione del mondo angusta e un'indole intimamente servile.
Pagine
martedì 20 marzo 2012
domenica 18 marzo 2012
L'uomo che diceva no
Il
vecchio sedeva sulla panchina con la schiena curva e i gomiti posati sulle
ginocchia, e piangeva in silenzio. Le sue lacrime scendevano lente incanalandosi
tra le rughe profonde del viso. A volte, una mano dalle dita strette e le nocche
sporgenti saliva tremolante ad asciugare i suoi occhi opachi e tristi.
La
bambina vide il vecchio e si sedette al suo fianco. Perché piangi, gli chiese.
Piango perché sono vecchio, rispose l’altro. Tutti diventano vecchi, disse la
bambina. Ma io sono diventato vecchio senza aver vissuto, disse l’uomo.
Spiegati meglio, non ti capisco. Nella vita non ho fatto altro che dire no, e
ora sono diventato vecchio e non ho più la possibilità di dire sì.
La
bambina, che in realtà era una fata, disse: Non voglio che tu pianga, signore.
Se davvero lo desideri, posso farti tornare giovane, e avrai di nuovo la
possibilità di dire sì. Davvero faresti questo per me, chiese il vecchio
sollevando per la prima volta i suoi occhioni grigi sul viso rotondo della
fata. Stringimi forte la mano, disse la fata, chiudi gli occhi e desideralo
fortemente. Il vecchio fece così come la fata aveva chiesto, e le rughe sulla
fronte e sulle guance si distesero, i suoi radi capelli bianchi si infoltirono
e tornarono biondi, gli occhi grigi presero il colore del mare. L’uomo sorrise
alla fata mostrandole i suoi denti bianchissimi, la abbracciò e corse via rapido
a riprendersi la vita che si era negato.
Sessant’anni
dopo, la fata sedeva sulla panchina e aspettava il vecchio. Vide l’uomo arrivare
con un’andatura energica e la schiena diritta. Gli occhi grigi avevano ora la
luce livida e serena dell’oceano prima del tramonto, e le rughe sul viso disegnavano virgole che
arricchivano un sorriso disteso. Il vecchio si sedette vicino alla fata. Grazie
mille per la seconda opportunità che mi hai dato, cara fata, le disse. Hai
dunque avuto modo di rimediare ai tuoi no, chiese lei. Il vecchio scosse la
testa. Ho detto esattamente gli stessi no, tutti. La fata era sorpresa. Ma
perché, chiese. Perché ho capito che non erano solo nelle mie parole, quei no
erano scritti dentro di me. E allora perché adesso hai questa luce negli occhi,
chiese ancora la fata. E il vecchio rispose: Perché mi sono accorto che nella
vita ho anche detto tanti sì, quelli che davvero volevo. Mentre prima, pensando
solo ai no, me ne ero dimenticato.
Detto
questo, il vecchio si alzò e andò via.
martedì 13 marzo 2012
Elogio degli e-reader
Spesso, chi ama leggere ha un rapporto vagamente
feticista con i libri. Ama sfogliarli, annusarli, sentire al tatto la
consistenza delle pagine, spingerli nella fessura ancora libera della propria libreria come fossero le tessere di un puzzle.
Per questo gli e-reader sono visti con discreto orrore da molti degli amanti della lettura. La confidenza anche fisica tra sguardo, tatto e inchiostro su carta trasformato in un arido contatto digitale con uno schermo traslucido. Inaccettabile per chi pensa che un libro abbia il suo profumo, e sia un oggetto con vita propria, l'amico di un momento triste o felice ma comunque irripetibile della tua vita, le cui pagine ingialliscono e invecchiano come la nostra pelle, imprigionando pero' nell'incavo della rilegatura l'aroma dell'esperienza vissuta, e le tracce di eventuali appunti lasciati come tatuaggi indelebili.
Per questo gli e-reader sono visti con discreto orrore da molti degli amanti della lettura. La confidenza anche fisica tra sguardo, tatto e inchiostro su carta trasformato in un arido contatto digitale con uno schermo traslucido. Inaccettabile per chi pensa che un libro abbia il suo profumo, e sia un oggetto con vita propria, l'amico di un momento triste o felice ma comunque irripetibile della tua vita, le cui pagine ingialliscono e invecchiano come la nostra pelle, imprigionando pero' nell'incavo della rilegatura l'aroma dell'esperienza vissuta, e le tracce di eventuali appunti lasciati come tatuaggi indelebili.
Anche noi amiamo leggere e siamo anche un po’
feticisti con i libri, e per questo eravamo restii agli e-reader. Ma ci siamo
ricreduti. L’e-reader è un perfetto esempio di quell’elettronica elegante e
discreta che viene incontro alle tue esigenze senza richiedere le attenzioni di
un bebè. E maschera una tecnologia da urlo con un look gentile. Non ha schermo
retroilluminato, e l'effetto e-ink rende quasi indistinguibile la pagina elettronica da quella di carta. Provare per credere. L’effetto e-ink è tecnicamente straordinario. Il colore inchiostro
sullo schermo è ottenuto con l’opportuna orientazione tramite campo
elettromagnetico di minuscole capsule sferoidali (metà bianche metà nere) che
giacciono in un sottile strato polimerico sotto lo schermo. Ciò massimizza l’autonomia,
perchè l’energia è solo necessaria per cambiare l’orientamento delle sfere
(cioè, per cambiare pagina). In altre parole, se restiamo ore sulla stessa
pagina non consumiamo alcuna energia.
Il libro si sfoglia con un semplice tocco dello
schermo. Si può decidere tipo di carattere e dimensione. Non c'è l'odore della
carta, ma la cover di cuoio ha un profumo altrettanto buono, tipo interni di
un'auto nuova. Se in più vivi all’estero in una casa provvisoria in cui
un'eventuale libreria sarebbe solo d'impiccio, e l'unico modo che hai di
acquistare libri è quello di ordinarli su internet e farteli spedire (con costi
di spedizione alti)... bè, il vantaggio vien da sé. Diffidate dei troppi .epub
e .pdf gratuiti che trovare in rete, in realtà barbaramente generati
scannerizzando i volumi cartacei. La formattazione resta rigida e inadatta ai
pochi pollici dello schermo, e renderà la lettura un incubo. Spendete tre o quattro
euro e salverete il piacere di decine di ore di lettura.
Un’esperienza diversa, dunque, altrettanto
interessante che leggere un libro cartaceo. E poi, ammettiamolo, quando stiamo
lì a pensare troppo all’odore della carta, alla rilegatura, alla sua
collocazione in libreria, vuol dire che quel libro non ci sta prendendo
granchè.
Anche l'idea di andare in giro con un oggetto di dimensione
sei pollici che può contenere l’intera biblioteca di Alessandria ha il suo
fascino. Questa è la tecnologia che ci piace. Quella che ti sorprende senza
urlarti in faccia. E che materializza i sogni millenari degli stregoni.
venerdì 9 marzo 2012
Trent'anni
Chi scrive compirà trent’anni tra una settimana. Incredibile ma vero.
Sui banchi di scuola o all'università il tempo sembrava non passare mai. Poi, improvvisamente, gli anni hanno preso la rincorsa. Quello dei trent'anni è un compleanno che spaventa e inquieta nel profondo. Forse il più temuto in assoluto. Perchè quando hai vent’anni all’età non ci pensi e sorridi al futuro, quando ne hai quaranta hai già imparato a conoscerti a fondo e trovato una tua dimensione, serena o malinconica che sia. A trent’anni, invece, sei nella terra di mezzo. Ancora irrealizzato, insicuro, confuso, disorientato. Bombardato da esigenze discordanti. In pieno, tumultuoso e tragicomico disordine personale, non sai che pesci pigliare e vorresti solo del tempo ma il tre che fa capolino come prima cifra della tua età ti dice datti ‘na mossa, o sarà troppo tardi. Quel numeretto scatta all’improvviso come le catene di un ponte levatoio che ti chiude l’accesso al castello beato della spensieratezza. E lascia un senso scomodo di perdita, di rimpianto per non esserti goduto fino in fondo le danze di corte cui ora non sei più invitato. C’è però chi a trent’anni ne ha già cinquanta. Magari sistemato con moglie e figli e lavoro sicuro, passa le serate spaparanzato sul divano ad abioccarsi davanti alla tv, aspettando che commare Tempo passi ad imbiancargli i capelli e a dilatargli la pancia.
Sui banchi di scuola o all'università il tempo sembrava non passare mai. Poi, improvvisamente, gli anni hanno preso la rincorsa. Quello dei trent'anni è un compleanno che spaventa e inquieta nel profondo. Forse il più temuto in assoluto. Perchè quando hai vent’anni all’età non ci pensi e sorridi al futuro, quando ne hai quaranta hai già imparato a conoscerti a fondo e trovato una tua dimensione, serena o malinconica che sia. A trent’anni, invece, sei nella terra di mezzo. Ancora irrealizzato, insicuro, confuso, disorientato. Bombardato da esigenze discordanti. In pieno, tumultuoso e tragicomico disordine personale, non sai che pesci pigliare e vorresti solo del tempo ma il tre che fa capolino come prima cifra della tua età ti dice datti ‘na mossa, o sarà troppo tardi. Quel numeretto scatta all’improvviso come le catene di un ponte levatoio che ti chiude l’accesso al castello beato della spensieratezza. E lascia un senso scomodo di perdita, di rimpianto per non esserti goduto fino in fondo le danze di corte cui ora non sei più invitato. C’è però chi a trent’anni ne ha già cinquanta. Magari sistemato con moglie e figli e lavoro sicuro, passa le serate spaparanzato sul divano ad abioccarsi davanti alla tv, aspettando che commare Tempo passi ad imbiancargli i capelli e a dilatargli la pancia.
Chi scrive, però, appartiene piuttosto al popolo della terra
di mezzo. E sa di essere in buona compagnia. Il mondo pullula di trentenni
nella terra di mezzo. Cacciati bruscamente dallo sfavillante castello della spensieratezza
e condannati a vagare nelle sterpaglie senza una meta ancora identificata. Ed e
a tutti loro che mi rivolgo, incluso me stesso.
Cari trentenni che camminate miopi tra i rovi della terra di
mezzo, per favore, cercate di dimenticare i luoghi comuni sulla vostra età.
Tutti quelli che dicono che è giunto il momento delle responsabilità, che la
giovinezza è finita, che bisogna costruirsi un futuro solido al più presto, e altri
mattonate del genere. I luoghi comuni sono trappole infauste che imprigionano e
inaridiscono la complessità e la bellezza del reale. I luoghi comuni sono roba
da pigri e da gente senza immaginazione. Trent’anni sono solo ventinove più
trecentosessantacinque giorni. E’ solo colpa della fottuta numerazione decimale
se adesso la prima cifra della vostra età scatta di una posizione. Ma la
numerazione decimale è un artifizio matematico, e non c’azzecca nulla con la
morbidezza della pelle della vostra fronte, con la spontaneità del vostro sorriso, con il
vostro desiderio di specchiarvi negli occhi scuri di una bella brunetta dopo
aver bevuto insieme una bottiglia di Falaghina al chiaro di luna senza pensieri
che non siano quelli di una sera.
La Storia, quella di questi anni, non vi è amica, cari
trentenni della terra di mezzo. E forse vi toccherà lottare per renderla più
docile. Ma far luce tra le sterpaglie per trovare tracce di un sentiero che
convergerà poi in una vera e propria strada asfaltata è un compito che non
spetta alla Storia, nè alla fottuta numerazione decimale, nè alle mortuarie
avvisaglie dei luoghi comuni. Spetta solo alla vostra energia e al vostro
entusiasmo. Spetta solo a voi.
E se ancora quella fottuta cifra tre decimale vi rode, calcolate la vostra età in base venticinque piuttosto che in base dieci. E vi scoprirete appena adolescenti.
In bocca al lupo, amici miei.
In bocca al lupo, amici miei.
venerdì 2 marzo 2012
Danzando nella nebbia - Amarcord
Quella di Amarcord è una nebbia ventosa. Immobile eppur viva, segnata da un sibilo persistente e dalla sporadica comparsa delle foglie secche che l’attraversano come rondini in cerca del nido. Una nebbia impossibile, che avvolge placida il piazzale d’ingresso del Grand Hotel chiuso per l’autunno. Getti l’occhio sullo spioncino del pesante portone. E sogni la lunga scalinata in marmo di Carrara su cui non potrai mai salire, i paralumi in chiffon, le statue barocche e i divani rococò coperti da teli di lino.
Guardaaa...Belloooo....
La serenità di quell’atrio in chiaroscuro è così vicina, ma
inaccessibile. Due passettini ed ecco
che l’alito di quella nebbia impossibile comincia a cullarti. Le tue spalle
ondeggiano al suo soffio acuto e sottile. La tromba sognante di Nino Rota ti
punzecchia i piedi ironica e bonaria, e lasci che la nebbia e il vento guidino
la tua silenziosa danza.
Siamo tutti piccoli e soli in questa nebbia, immersi nel piacere
romantico del sogno. Eppure, se una folata improvvisa solleva il manto
biancastro come fosse il tendaggio di un sipario, ci accorgiamo di far parte di
una coreografia di anime solitarie e ondeggianti, all’inconsapevole ricerca di
un urto fortuito. C’è chi si illude di suonare il sassofono, chi abbraccia il suo
amore che non c’è, chi tira il petto in fuori spavaldo, chi molleggia i passi,
chi lascia che la sua smilza silhouette disegni una virgola scura su quel bianco alone.
Capita, di perdersi nella nebbia, tutti i giorni. Il placido danzare dei tuoi sogni che si sollevano dalla banalità del quotidiano e si librano leggeri come goccioline d’acqua sospese. Ma poi, purtroppo, tornano giù pesanti come foglie secche. Eppure non ti fermi. Non vedi nulla davanti a te ma continui a danzare. Aspettando la folata di vento che ti ricorderà di non essere solo.
Capita, di perdersi nella nebbia, tutti i giorni. Il placido danzare dei tuoi sogni che si sollevano dalla banalità del quotidiano e si librano leggeri come goccioline d’acqua sospese. Ma poi, purtroppo, tornano giù pesanti come foglie secche. Eppure non ti fermi. Non vedi nulla davanti a te ma continui a danzare. Aspettando la folata di vento che ti ricorderà di non essere solo.
Grazie, Federico Fellini.
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