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martedì 28 maggio 2013

La passeggiata del Divo


Ok, Paolo Sorrentino non ha vinto premi a Cannes quest’anno. Non abbiamo ancora visto La grande bellezza, ma in fondo non ci sorprende che il presidente di giuria Steven Spielberg non si sia fatto contagiare dal fascino dell’unico film italiano in concorso. Spielberg e Sorrentino sono infatti due cineasti decisamente antitetici; il cinema del gigante hollywoodiano è ottimista, fanciullesco e irrazionale  tanto quanto quello di Sorrentino è  meditabondo, cupo e sottilmente nichilista. Eppure, a ben pensarci li accomuna la forza visionaria, il massimalismo espressivo, il talento di creare immagini assolutamente inedite, la capacità di dare forma ai sogni più audaci: Paolo Sorrentino rimane il più talentuoso dei cineasti di casa nostra, l’unico che possa essere accostato a nomi gloriosi del passato come Fellini, Antonioni o Ferreri senza urlare alla lesa maestà.
Lo vogliamo omaggiare con una scena de Il Divo, il miglior film italiano del decennio scorso, premiato proprio a Cannes nel 2008. Ci riferiamo a quella che a nostro parere è la scena migliore del film (inizia al minuto 1:15 nel video in basso): la passeggiata notturna di Andreotti nella Roma deserta. Il Divo che cammina con andatura compassata sul marciapiede, mentre la scorta lo segue silenziosa come il corteo di un funerale con le auto dai lampeggianti blu. Il Divo si ferma per qualche istante a leggere un’invettiva su di lui e Craxi scritta con la vernice sul muro del palazzo adiacente. Il capo scorta fa un cenno al suo collega come a chiedere il motivo di quella pausa, ma Andreotti riprende impassibile la sua mesta passeggiata e l’intera scorta può rimettersi in moto, mentre la musica di Teho Teardo che accompagna l’intera scena si arricchisce di un coro polifonico. Una colonna sonora che ricorda atmosfere alla Nino Rota (Il Padrino, per intenderci). C’è tutto in questa scena: l’impenetrabilità di un personaggio che è anche l’impenetrabilità di una parte della nostra Storia recente, il fascino senescente e dimesso di un Paese in declino, l’impalcatura grottesca delle istituzioni. La Roma funerea di Sorrentino, illuminata solo da lampioni sfocati che sembrano sospesi in cielo come miraggi, è allo stesso tempo la gloria e la tomba del nostro Paese bello e inutile

domenica 26 maggio 2013

Matteo Renzi in inglese



Nonostante la cattiva qualità audio del video pubblicato da repubblica.it (http://video.repubblica.it/edizione/bologna/matteo-renzi-show-in-inglese-when-i-met-obama/129584/128087?ref=HRESS-1), abbiamo provato a trascrivere con scrupolo filologico una parte del discorso in inglese di Matteo Renzi al Bologna Center per la conclusione dell’anno accademico del master in relazioni internazionali della John Hopkins University:

...from my city, from Florence. And... there is one from my country, from my country that we have been experiencing from, for one year, the last year. Ehm… forfflo… we start froffro… I’m the mayor of Florence, okay. When I met for the first time, and also the last time, the president Obama… just… one seconds, more or less… because… I was invited by United States National Conference of Mayors… for a meeting.. en in White House… I… shaking hand with president Obama and… “Nice to meet you mister President, I am the mayor of Florence, Italy…” “nice to meet you… Really?? Are you… the mayor of… Florence, Italy??” “Ehh ehm… sure…” “Oh, the city with the best restaurants in the world…” “I’m not sure…” (parola non identificata) against president Obama is not good… Maybe… I cannot speaking about tortellini or tagliatelle with the president Obama… but… it’s a very (parola non identificata) because when I come back in my city few people told me “Oh, next time you must say we have also the David, not only the food”. Yes, but is Florence is not only a city of culture… this is mobile… this is mobile very usual in Italy…  Apple, there is Samsung, there is… few smartphone. In the next four years we… we will have… more or less… four point five million of mobile, but the first telephone was created exactly in my city, in Florence…

Tralasciamo scontati commenti sulle qualità poco oxfordiane dell’inglese renziano, tappezzato di  farfugliamenti, refusi e plurali arbitrari ma comunque meno osceno di quanto udito, ad esempio, da un La Russa o un Berlusconi o tanti sedicenti Ministri degli Esteri dei governi passati. Sono piuttosto altri aspetti che colpiscono in questo inusuale discorso dell’astro nascente del paraculismo italico, il gggggggiovane politico rottamatore che salverà il Belpaese, il Fonzie alla maremmana in giacca di pelle dei tv-show della De Filippi, l’individuo che, nonostante tutto, è forse – ahimè- tra i meno deprecabili  cui si possa associare l’ambigua parola di carisma nella disonesta e sempre aperta caccia ai voti.
Innanzitutto,  l’ennesima sconsolata presa di coscienza dell’incapacità di parlare dell’Italia agli stranieri senza rifugiarsi nei soliti cliché turistico/culinari, tanto più fastidiosi perché vengono da un personaggio delle istituzioni. Renzi incontra Obama e parla di ristoranti, poi riflette da solo su tortellini e tagliatelle e sul fatto che a Firenze oltre ai ristoranti c’è anche il David. L’Italia della buona pasta e dei monumenti da cartolina, un pavoneggiamento di banalità che forse fa gongolare quegli stranieri per cui lo Stivale non è altro che un immenso villaggio vacanze. Ed è proprio ad un mediocre animatore da camping che fa pensare il Matteo Renzi di questo video, basti sostituire Obama con un più abbordabile divo americano delle grandi masse e il patetico show è bell’e pronto.  Ok, era solo un hook, un modo brillante per introdurre discorsi più seri che non sono riportati nel video di repubblica.it, dirà qualcuno. Ma non è dunque possibile fare un po’ d’ironia sull’Italia senza bistrattarla come sterile collezione di cliché? E’ forse troppo pretendere qualche annotazione più acuta e originale sul nostro Paese che non vada semplicemente a ripetere alle orecchie degli stranieri ciò che hanno già udito milioni di volte? Racconta al popolo ciò che già sa e vuole farsi sentire, e il popolo sarà con te, diceva qualcuno, è il principio base del populismo, e forse Renzi lo conosce molto bene. 
In uno show che riecheggia a tratti l’imbarazzante monologo di Silvio Berlusconi sull’Italia del sole e dei musei (la storica seduta del 2003 al Parlamento Europeo, quella dello Schultz kapò per intenderci), c'è anche una conferma forse inconscia, quasi un lapsus freudiano, dell'immagine obsoleta e cartolinesca che Renzi ostenta del suo Paese: il Matteo nazionale vuole introdurre Antonio Meucci e per farlo chiude il siparietto cabarrettista con un “but Florence is not only a city of culture”. Ebbene, qualcuno dovrebbe forse chiedere al signor sindaco di Firenze cosa sia per lui la cultura, perchè ad emergerne è una visione conservatrice, schematica e tutto sommato ignorante. Non sappiamo se Renzi sia ignorante o meno. Di certo, è ignorante l’atteggiamento da imbonitore da fiera paratelevisivo con cui va a menzionarla, la cultura. Forse per Renzi la cultura è solo quella dei biglietti del museo e delle guide turistiche, se pensa, ad esempio, che l’enorme bagaglio di conoscenze sull'elettromagnetismo maturate dal suo illustre concittadino e che hanno portato all’invenzione del primo telefono non sia cultura, ma sia altro. 
Infine, lascia riflettere l’incontro Renzi-Obama, il loro primo e ultimo incontro durato solo one seconds durante una sedicente United States National Conference of Mayors. Un Renzi più umano e dunque simpatico, penseranno in tanti, che lascia da parte il fare spavaldo e saccente dei talk show e si fa piccino di fronte ad uno dei giganti della politica mondiale. Ma la mimica gesticolante da Bagaglino e l’insistito deviare su ristoranti tagliatelle e tortellini lasciano intendere un’indole sottilmente servile piuttosto che una sana umiltà. Un'ostentata ricerca della risatina di pancia a tutti i costi, che però non riesce certo a camuffare una sacrosanta verità: l’imbarazzo davanti al potente è quello dei servi, non degli umili. Così come caratteristica intimamente servile è lo sfoggio di un orgoglio narcisista quando il potente è assente. Ancora una volta, è l’italietta a metà tra folklore e orrore di cui parlava Jerzy Stuhr nel Caimano ad emergere, tanto più desolante perchè suggerita da un acclamato esponente delle nuove generazioni.
Che sia solo questione di qualche decennio, il tempo che l’andropausa inizierà a rodere il suo orgoglio come una tarma, e nei suoi siparietti appariranno ciulatine con cameriere e culone inchiavabili?