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sabato 23 aprile 2011

"Quando sembra che finalmente avete toccato il fondo..."



Il Caimano e' il film piu' bello, coinvolgente e toccante di Nanni Moretti. E non solo per i (giustamente) celebrati momenti profetici, con l'attualissima rivolta del popolo verso i giudici che hanno appena condannato il premier. 
Ma per altro, molto altro.
Perche' il fallimento della storia d'amore tra Silvio Orlando e Margherita Buy e' il controcanto amaro della deriva dell'italietta berlusconiana.
Perche' l'isteria dolorosa di Silvio Orlando e' quello di un paese non piu' in grado di esprimere in maniera coerente la sua rabbia.
Perche', al di la' del lancinante pessimismo di fondo, Il caimano lascia in bocca uno strano sapore dolce. Silvio Orlando che racconta favole delle buonanotte ai figli, che costruisce con loro un'improbabile tenda in soggiorno, che li porta in pizzeria e li aiuta a fare compiti, Margherita Buy e ancora Silvio Orlando che in auto si sorpassano a vicenda e non sanno rinunciare a timidi saluti nonostante il divorzio appena avvenuto, le partite di calcio in cui bisogna migliorare a tutti i costi: il ripiegamento nel privato non e' rinuncia ma ancora di salvezza dal baratro della Storia. Unico guardaroba rimasto da cui estrarre ancora scampoli di dignita'.
E ancora, momenti visionari da far invidia a Fellini, dall'uccisione splatter del critico velenoso al matrimonio maoista, dalla valigia carica di banconote che buca il soffitto al pedinamento della caravella nella notte, in realta' tiepido miraggio dell'ennesimo incubo paratelevisivo.
E, su tutte, la scena in cui i due ragazzini con giocosa spensieratezza ballano sul set del parlamento italiano e  saltano sul lettone (di Putin?) e le poltrone imbottite del premier. Sprezzo dell'Italia di domani verso l'imbalsamata gerontocrazia di un paese “bello e inutile”.

sabato 16 aprile 2011

Todo Cambia


Vedendo il trailer di Habemus Papam, il nuovo film di Nanni Moretti da ieri nelle sale italiane, si rimane colpiti dalle struggenti note di una canzone in spagnolo che accompagna le vicissitudini di questo umanissimo papa neoeletto che non si sente in grado di sostenere l’enorme responsabilità che gli è stata assegnata e decide di fuggire dalla dorata prigione vaticana. “Cambia, todo cambia”, dice il ritornello. Una rapida ricerca su Google e scopriamo trattarsi di una canzone di Mercedes Sosa, cantante argentina dalla straordinaria voce baritonale deceduta nel 2009, e impegnata per anni nella lotta per la pace e i diritti civili del suo paese. 
Non abbiamo ancora visto il film, ma ci sembra che Nanni Moretti, forse il più sorprendente e geniale tra i cineasti italiani viventi, abbia ancora una volta trovato un’alchimia perfetta tra sonorità e immagini. Questa dolcissima canzone che parla di cambiamento e racchiude in sè un invito a non lasciarsi vincere dall’indolenza sembra essere scritta apposta per commentare le immagini di questo insolito papa che ritrova un’inattesa felicità quando è in auto con una donna e i suoi bambini o si mimetizza tra la folla che riempie le strade romane. 
E ci ricorda che tutti gli esseri del pianeta hanno il diritto di cambiare vita. Anche il papa.
Potete ascoltare Todo Cambia di Mercedes Sosa cliccando sul video. In basso è invece riportato il testo della canzone.


TODO CAMBIA

Cambia lo superficial
Cambia también lo profundo
Cambia el modo de pensar
Cambia todo en este mundo

Cambia el clima con los años
Cambia el pastor su rebaño
Y así como todo cambia

Que yo cambie no es extraño

Cambia el mas fino brillante
De mano en mano su brillo
Cambia el nido el pajarillo
Cambia el sentir un amante


Cambia el rumbo el caminante
Aúnque esto le cause daño
Y así como todo cambia
Que yo cambie no es extraño


Cambia todo cambia
Cambia todo cambia
Cambia todo cambia
Cambia todo cambia


Cambia el sol en su carrera
Cuando la noche subsiste
Cambia la planta y se viste
De verde en la primavera


Cambia el pelaje la fiera
Cambia el cabello el anciano
Y así como todo cambia
Que yo cambie no es extraño


Pero no cambia mi amor
Por mas lejo que me encuentre
Ni el recuerdo ni el dolor
De mi pueblo y de mi gente


Lo que cambió ayer
Tendrá que cambiar mañana
Así como cambio yo
En esta tierra lejana


Cambia todo cambia
Cambia todo cambia
Cambia todo cambia
Cambia todo cambia


Pero no cambia mi amor...

lunedì 4 aprile 2011

Den Eneste Ene


Chissà se il regista e sceneggiatore americano Richard Curtis abbia mai visto Den Eneste Ene, ossia L’unico,  film danese del 1999 famosissimo in patria e sconosciuto all’estero, firmato da quella Susanne Bier che undici anni dopo avrebbe regalato alla Danimarca il suo secondo Oscar al film straniero con Hævnen.
Ce lo chiediamo durante la visione di un film che in diversi momenti sembra proprio un Love Actually alla scandinava, anche se la pellicola con Hugh Grant è uscita qualche anno dopo.  Anche qui ci sono coppie destinate a vita breve, bambini adottati, genitori vedovi, sorelle bruttine e impacciate, zitelle demodè alla perenne ricerca del grande amore, ma soprattutto c’è quell’ottimismo fasullo e un po’ melenso da commediola americana che però, in questi tempi torbidi, è quasi piacevole. 
Le vicende dell’estetista Sus, che già incinta di qualche  mese abbandona il marito italiano quando scopre che ha una seconda vita, e dell’operaio Niller, vedovo con una figlia adottiva a carico, scorrono su binari decisamente prevedibili. Però il film si lascia guardare con piacere. Perchè gli interpreti sono bravi e affiatati  (su tutti Paprika Steen nel ruolo della psicotica amica di Sus) e i dialoghi hanno un bel ritmo. La confezione non è forse accattivante come quella del film di Curtis, ma non c’è neanche l’insistenza nel trasformare i personaggi secondari a macchiette grottesche tipica delle commedie americane. 
Nota di demerito: fastidioso il personaggio di Andrea, marito italiano di Sus interpretato dallo svedese (!!!) Rafael Edholm, che sfodera tutti i luoghi comuni sull’italiano inaffidabile e fedifrago e si prodiga in una serie di intercalari da turista straniero come “Che bella!”, “Amore!”, “Mi scusi!”, "Pizzeria!". Ma tanto questo dà fastidio solo a noi.

domenica 3 aprile 2011

Il tuo futuro te stesso

Suonano alla porta mentre sei sul divano con le cuffie dell'iPod alle orecchie e sgranocchi pistacchi salati. Ti trascini svogliato all’ingresso, apri, e vedi una faccia che non ti sembra affatto nuova. Perché somiglia in maniera incredibile a quella che vedi ogni mattina davanti allo specchio, quando ti pettini i capelli e vorresti pettinarti anche il viso ma purtroppo non si può. La persona davanti a te ha due occhiaie pronunciate e un’espressione vagamente incartapecorita, la fronte più alta. Sorride e dice ciao, sono il tuo futuro te stesso, sono qui di passaggio e volevo dare un’occhiata e vedere com’ero diciannove anni fa. All'inizio non ci credi, ma poi pensi cavolo, mi somiglia troppo. La persona si accorge della tua sorpresa, tira fuori dal taschino interno della giacca tipo Belstaff la sua carta d’identità, e te la porge. Il tuo stesso nome, la tua stessa foto, appena un po’ ingiallita, praticamente lo stesso documento che tieni chiuso nella credenza, in cucina. Ma com’è possibile, chiedi, lui scrolla le spalle, una storia troppo lunga, dice.  
Si fa largo nel tuo appartamento e si guarda intorno. Bottiglie vuote ovunque, pile di piatti nel lavabo, qualche libro e dvd sparso sul divano o sul pavimento. Sei un po’ in imbarazzo, a saperlo prima avresti dato una pulita, ma poi pensi chissenefrega, quello lì che è entrato sono io. Ti dispiace se mi faccio un tè alla menta. Prego, fai pure, trovi i filtri dietro il secondo sportello sotto il lavabo, vicino allo sgrassante per i fornelli. Lo so, ti dice. Ma come, chiedi tu. Che domande, risponde lui. Senza alcun indugio apre lo sportello, mette da parte lo sgrassante e pesca un filtro per il tè da una scatola cartonata. Poi si avvicina alla libreria, si mette in punta di piedi e afferra un pentolino da sopra l'enciclopedia Treccani, torna al lavabo, riempie d’acqua il pentolino e accende il fornello. Mentre l’acqua si scalda si volta verso di te e ti scruta con occhi penetranti e un sorriso enigmatico, senza pronunciare parola. Senti che quegli occhi ti leggono nel profondo, ti arrovelli il cervello nel trovare il modo di rompere il ghiaccio, che cazzo gli dico a questo, pensi. Quando l’acqua bolle, il tuo futuro te stesso apre il frigo e afferra la tua tazza di Pluto, poi versa l’acqua e va a sedersi al tavolo. 
Si ricorda di dove diciannove anni prima aveva il pentolino per il tè e anche della tazza di Pluto, pensi tu. A quell'età non avrai ancora perso la memoria, meno male. E mentre lo osservi immergere il filtro nella tazza, poi tirarlo su e immergerlo di nuovo, pensi che il tuo futuro te stesso non è affatto male, non è decrepito come forse temevi. Poteva andare molto peggio, insomma. Inizia a sorseggiare lentamente il tè, guardandosi intorno, e rivolgendoti delle lunghe occhiate. In tutto quel tempo sei rimasto in piedi, rigido come uno stoccafisso. C’è il mio futuro me stesso davanti a me, pensi, è un’occasione unica, posso chiedergli come mi andranno le cose negli anni a venire. Ma le domande ti muoiono in gola, le parole non escono. Lui continua a scrutarti, sembra conoscere la tua ritrosia a domande di quel tipo. D’altronde, l’ha vissuta anche lui.
Finisce il suo tè, si alza e poggia la tazza sulla pila di piatti, poi dice che vorrebbe avere una birra, fai pure, dici tu. Lui apre il forno e sa perfettamente che le birre sono dentro la teglia rotonda per crostata, prende una lattina e la apre, la lattina emette un sibilo sordo. Va a sedersi sul divano, dove poco fa sgranocchiavi pistacchi. Infila una mano sotto, accanto al piede metallico sinistro, e tira su una scarpa Superga. Evidentemente ricorda che sei solito infilare lì il telecomando. Con un po' di fatica lo estrae dalla scarpa, accende il televisore e comincia a fare zapping. Non resta più di due secondi sullo stesso canale, sembra annoiato.  Alla fine dice senti, ti chiedo un favore, per stasera vorrei rimanere qui, posso dormire sul divano, ma dovresti andare a comperare una coperta, so che non ne hai un’altra in casa, per piacere, vai dal grossista qui a fianco, poi ti restituisco i soldi.  Va bene, rispondi, proprio non ce la fai a dire di no, ma quando esci di casa pensi che il tuo futuro te stesso comincia ad essere un po’ troppo invadente, per stanotte va bene che rimanga, ma che non diventi un’abitudine. Che se torni nel futuro a rompere i coglioni.
Compri una coperta di pail a prezzo stracciato e torni a casa. Non c’è nessuno sul divano, la tv ancora accesa, il telecomando infilato nella scarpa Superga. Sul tavolo è posato un foglietto di carta a quadretti. C’è scritto, con una calligrafia identica alla tua: “E’ stato bello rivederti, grazie di tutto”. Che tenero. Ha cambiato idea. E tu che eri già arrabbiato con lui.

Il mattino dopo ti svegli di buon umore. E’ stata una bella esperienza conoscere il tuo futuro te stesso. Mentre prepari un tè alla menta, pensi anche che potreste essere ottimi amici, tu e lui. Potrebbe venire a trovarti nel weekend, adesso hai la coperta, puoi ospitarlo senza problemi. Potreste uscire insieme il sabato sera a rimorchiare fanciulle, lui la sa sicuramente più lunga, potrebbe darti consigli preziosi. 
O forse no. Forse non ne sa affatto di più. Getti uno sguardo alla tazza di Pluto su cui hai appena versato il tè e ti sorge un atroce sospetto. Forse non è vero che il tuo futuro se stesso ha un’ottima memoria. Forse sa dov'era posizionato il pentolino del tè e la tazza di Pluto perché è semplicemente dove va a prenderli ogni giorno anche lui, nel futuro. E anche lui mette le lattine di birra nello teglia rotonda da crostata, nel forno. E ha una scarpa Superga accanto al piede metallico sinistro del divano. Forse nulla è cambiato da adesso a diciannove anni. La tua esistenza è già cristallizzata e ancora non te ne sei accorto.
Preso dall'ansia apri la finesta e scaraventi via con forza la tazza di Pluto, che si rompe in mille pezzi sul muro del palazzo di fronte. Prendi il pentolino del tè e lo porti in camera da letto, lo nascondi sopra l’armadio dei vestiti. Poi torni in cucina, apri il forno, estrai le birre e le metti nella credenza. Peschi dallo sportello sotto il lavabo la scatola dei filtri del tè e la metti in frigo. Afferri la scarpa Superga sotto il divano, trovi l'altra scarpa sopra i dvd inpilati di Lost, scendi sotto casa e gli dai fuoco. Torni a casa, sollevi la seduta del divano e e ci infili sotto il telecomando. Esci di nuovo a comperare una tazza con un personaggio della Pixar disegnato sopra.
Il giorno dopo prendi il pentolino da sopra l’armadio della camera e lo infili nel forno. Nascondi i filtri del tè sotto il divano. Il telecomando in frigo. Le birre dentro l’armadio, tra i maglioni primaverili e le giacche autunnali. La tazza con il personaggio della Pixar finisce nella spazzatura.
Spossato, ti lasci cadere sul letto. Pensi al tuo futuro te stesso. Torna pure, brutto stronzo, non saprai mai dove ho la mia roba. Perché ogni giorno sarà in posti diversi. Ogni giorno la mia vita sarà diversa. 
Sorridi. Dici che non lo saprà mai. Ma senti che verrà il giorno in cui troverai il posto giusto per le tue cose. E la tazza con l’illustrazione che ti piace davvero. A quel punto non potrai più fregarlo.  

Paolo Villaggio / Ciottoli


In una recente intervista il quasi ottantenne Paolo Villaggio ha dichiarato di non amare il suo personaggio più celebre, quel Fantozzi che a metà anni ’70 inventò un nuovo paradigma della commedia all’italiana. “Non mi ha mai fatto ridere”.  E ha anche affermato che, con il senno di poi, eviterebbe di girare una serie di film “atroci” come I pompieri e Scuola di ladri.
Ci ha sempre colpito il divario tra il Villaggio-Fantozzi, straordinaria tragicomica rappresentazione di un’umanità mediocre disadattata e servile, e il Villaggio vero, intellettuale di rara lucidità e intelligenza, che non di rado si è espresso con sufficienza nei confronti della sua parallela attività di “clown”, dettata da motivi esclusivamente economici. 
L’opinione della critica nei confronti dei film della serie di Fantozzi è ben nota: le prime due pellicole, firmate da Luciano Salce, sono geniali e al passo con i tempi, il terzo episodio è ancora un bel film, tutti gli altri sono solo minestra riscaldata. Negli anni ’80 la comicità di Villaggio, basata sull’iperbole e il masochismo più esasperato, degenera infatti in una stanca ripetizione di gag sempre uguali perdendo quasi del tutto la sua cattiveria sociale. Come se non bastasse, accanto ai film di Fantozzi saltano fuori una serie di epigoni in cui Villaggio ripropone la stessa comicità ormai stantia e senza la carica corrosiva di un tempo. Basti pensare a pellicole effettivamente fiacche come i vari Fracchia, o Le Comiche, o i già citati I pompieri e Scuola di ladri
Tra i film della deprecata deriva fantozziana viene erroneamente incluso anche Ho vinto la lotteria di Capodanno, uscito nel dicembre del 1989. Erroneamente, appunto. Perché Ho vinto la lotteria di Capodanno è un film straordinario,  e dispiace che una classificazione frettolosa e vittima di pregiudizio lo abbia ormai catalogato tra le opere trascurabili del grande attore genovese. 
In questa pellicola Villaggio interpreta Paolo Ciottoli, un giornalista con tendenze suicide, che crede di dare una svolta alla sua vita quando scopre di essere il vincitore della lotteria di Capodanno. Ma prima di poter pagare i debiti accumulati in una vita di stenti, l’intero mobilio del suo appartamento viene pignorato. E con esso sparisce la macchina da scrivere in cui aveva nascosto il biglietto vincente. Da qui mille peripezie per cercare di tornare in possesso della sua ora preziosissima Taurus. 
Un soggetto accattivante per un film comico, che il regista Neri Parenti porta avanti con una padronanza dei tempi e una ricchezza di situazioni irresistibili che riscatta in pieno le opache prove dei precedenti film con Villaggio. Su tutte, la scena in cui Ciottoli con un movimento maldestro scatena una reazione a catena che distrugge un’intera collezione di preziosissimi oggetti antichi è una perla del cinema comico, da fare invidia a qualsiasi film di Blake Edwards.  
Paolo Ciottoli è il gemello sfortunato di Ugo Fantozzi, altrettanto disadattato e impacciato, vessato e umiliato dai colleghi giornalisti e con neanche un ragionier Filini come amico o una signora Pina come moglie. Al di là dei soliti capitomboli, porte in faccia e bottiglie in testa, Villaggio riesce a conferire un’umanità dignitosa e sofferta al suo umile travet. E convince la rappresentazione nazional-popolare del riscatto sociale, associato alla vittoria miliardaria. La scena in cui Ciottoli, dopo l’ennesima umilazione, confessa al suo capo di essere il vincitore della lotteria di Capodanno, distruggendo il suo ufficio e trasformando il disprezzo dei colleghi in incontrastata (e servile) ammirazione, è un altro pezzo forte del film, che regala un’acuta immagine dell’italietta da bere di fine anni ’80. 
E come ogni grande film comico, Ho vinto la lotteria di Capodanno ha un finale amarissimo. I sogni di riscatto si scontrano con la durezza della realtà; ciò che resta sono due lacrime sul volto di Ciottoli e un impacciato ciao ciao. 
Riscoprite questo film, senza pregiudizi. Ne vale la pena.

venerdì 1 aprile 2011

Meno male che Piero c'è



Lunedì scorso il presidente del consiglio Silvio Berlusconi si è recato al tribunale di Milano per l’udienza preliminare del processo Mediatrade. L’ultima volta che aveva varcato quella temuta soglia era il lontano maggio 2003, quando con la scusa di dare alcune dichiarazioni spontanee sul processo SME (poi sospeso grazie al lodo Schifano varato dal suo governo), si era invece prodigato nella solita trita invettiva sulla magistratura comunista. Quel giorno all’uscita dell’aula fu accolto dalle seguenti urla di un giornalista free lance:

“Fatti processare, buffone! Rispetta la legge! Rispetta la Costituzione! Rispetta la democrazia! O farai la fine di Ceausescu e di Don Rodrigo! Rispetta la democrazia! Rispetta la dignità degli italiani!”

Berlusconi non gradì queste parole e denunciò il giornalista per ingiuria, perdendo in seguito la causa in quanto il termine “buffone” fu riconosciuto dal magistrato come una definizione e non un insulto. A urlare era Piero Ricca, blogger “professionista” notissimo in rete e ovviamente, se si esclude qualche fugace apparizione ad Annozero, tenuto a distanza siderale dalla televisione di regime. Armato di videocamera e megafono, Piero Ricca conduce da  anni una personale e agguerrita battaglia contro l’immoralità di una classe dirigente senile e corrotta. Il suo metodo è semplice e straordinariamente efficace: si reca di persona dal potente di turno e gli urla in faccia le sue condanne giudiziarie insabbiate, i clamorosi voltafaccia, le esagerate contraddizioni, e tutti gli altri lati oscuri della sua carriera, esigendo retoricamente una spiegazione immediata a tutto ciò. Il più delle volte la vittima cerca di sottrarsi dalle grinfie del Ricca eclissandosi tra gli uomini della scorta, altre volte prova maldestramente ad instaurare un dialogo in cui viene regolarmente massacrato dalla dialettica e dalla lucidità del blogger milanese. Che ha dalla sua una impressionante e dettagliata conoscenza dei fatti presenti e passati del nostro paese.

E’ facile e comodo per la casta liquidare come semplice “provocatore” un personaggio come Piero Ricca. Ma in realtà il suo approccio sui generis al dialogo con il potente, a suo modo giustificato dalla gravità dei fatti che viene a conclamare,  è forse l’unico metodo ancora possibile per interloquire con una classe dirigente chiusa nella sua torre d’avorio e sempre più lontana dalle necessità della gente. Nel descrivere l’assurdità di un paese in cui il primo ministro rischia il carcere per prostituzione minorile e senatori e parlamentari passano con disinvoltura da Montecitorio a Rebibbia, Ricca usa espressioni potenti come “putrefazione morale” e “privazione di anticorpi democratici”,  invitando poi i cittadini ad “alzare la testa”. Perché è ovvio che l’obiettivo degli incontri con i vari Andreotti, D’Alema, Vespa, Sgarbi ecc. non è certo quello di “redimere” la casta (figuriamoci...), ma piuttosto di scuotere l’indolenza di un popolo sonnacchioso che si lascia scivolare la Storia addosso come fosse l’acqua della doccia. 
Ci piace, Piero Ricca, perchè ha il coraggio e l’energia per scagliarsi contro il qualunquismo del “tanto è tutto uno schifo”. Perchè acclama una società dal sapore vagamente utopico dove il principio di uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge sia ancora valido e i ruoli di vittime e carnefici non siano più alla rovescia. E ci crede anche. 
Vi invitiamo a scoprire su youtube i tantissimi video del blogger milanese. Qui sotto riportiamo a mò di esempio l’incontro con Marcello Dell’Utri, perché forse è quello che più ha scosso il nostro senso civile. Marcello Dell’Utri, amico personale di Silvio Berlusconi e co-fondatore di Forza Italia, presunto bibliofilo, condannato in secondo grado a sette anni di reclusione per concorso esterno in associazione mafiosa, attualmente senatore della Repubblica. Abbastanza noto per le sue esternazioni sul mafioso Vittorio Mangano (“Era un eroe...”), nonché per la disinvoltura con cui ammette le profonde ragioni morali del suo fare politica (“Sono entrato in politica e faccio il parlamentare solo per difendermi dai processi”), sicuro della protezione del suo potente padrone. 
Guardate il video e meditate, meditate...