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domenica 24 marzo 2013

Hitchcock




Hitchcock di Sacha Gervasi è il primo film sul grande regista londinese. Racconta il biennio 1959-1960, segnato dalla crisi matrimoniale con la moglie Alma Reville (storica adattatrice delle sceneggiature dei suoi film) e, soprattutto, dalla difficoltosa realizzazione di Psycho, osteggiato dalle major che ne prevedevano un imbarazzante flop, e invece diventato il suo più grande successo commerciale, nonchè uno dei film più amati e imitati della storia del cinema.  Il film orchestra la complessa materia narrativa lungo tre percorsi: il difficile rapporto del regista con sua moglie, le ossessioni tra eros e thanatos dell’artista Hitchcock, e il racconto della realizzazione del suo film più celebre.  Purtroppo, Gervasi fallisce su ognuno degli aspetti citati. Le difficoltà coniugali di Alma Reville sono quelle di una qualsiasi donna  che si sente trascurata da un marito assente e distratto, e la narrazione non si discosta molto da quello di uno scontato dramma televisivo. L’intento di cogliere l’ambiguità del maestro londinese, la sua fascinazione morbosa per la violenza e le ossessioni sessuofobiche per le sue giovani attrici bionde viene affidato a banali intermezzi onirici in cui il nostro dialoga con il fantasma del personaggio che avrebbe ispirato il Norman Bates di Psycho.  In tal modo, la parte forse più interessante per i cinefili e gli amanti di Hitch – il racconto della realizzazione del film- viene privata dell’attesa ricchezza aneddotica che ne avrebbe fatto una pellicola davvero memorabile. Se la preproduzione, con le perplessità della Paramount davanti alla testardaggine di Hitchcock per quel bizzarro soggetto in cui la protagonista muore a metà film e le frecciate sull’ottusaggine delle regole del codice Hays (non si può mostrare una toilette al cinema!) è raccontata con una certa efficacia, la parte sulle riprese del film delude. La realizzazione della scena della doccia è tirata via  e non affronta alcuni dubbi dei cinefili (che ruolo avrebbe avuto l’autore dei titoli di testa Saul Bass in questa scena?), il complesso omicidio di Arbogast viene omesso, così come il cammeo del regista con il cappello da cowboy e altre scene famose del cult del 1960. Scarna anche la descrizione del rapporto con lo sceneggiatore Joseph Stefano, con Antony Perkins e gli altri attori maschili. Il film ci mostra invece un regista distratto che sul set ha la testa perennemente altrove, quasi non gliene importasse nulla della pellicola e fosse ossessionato soltanto dal presunto tradimento della moglie con uno scrittorucolo e dai suoi eterni fantasmi.
E’ un peccato, perché Antony Hopkins è un Hitchcock credibile, Helen Mirren ha l’intensità adatta ad esprimere la forza di questa donna talentuosa e discreta, e Scarlett Johansson è una Janet Leigh persino più bella e conturbante dell’originale.
Ma ahimè, troppa carne al fuoco per un film che vorrebbe essere ritratto introspettivo, grande storia d’amore e al contempo uno spensierato bignami per i cinefili incalliti.


venerdì 22 marzo 2013

Sparizioni laterali


Nessun sadismo, badate bene.
Non ci interessa indugiare sul dolore fisico del malcapitato, ma il puro e semplice effetto cartoonistico.
Immaginate una corda lunga un chilometro, sottile ma resistente con un piccolo cappio ad una delle due estremità. Il cappio viene fatto infilare da una mano scaltra intorno alla caviglia di una persona, a sua insaputa, mentre legge il giornale seduto su di una panchina con le gambe accavallate.
Il chilometro di corda è interamente arrotolato in un angolo vicino alla panchina. La seconda estremità viene invece fissata al gancio del paraurti posteriore di una vettura da corsa, una Bugatti Veyron Supersport ad esempio. Il proprietario della vettura, complice, forse la stessa persona che ha agganciato la caviglia della vittima, si mette finalmente al volante, aziona il poderoso motore W16 di 7.993 cc di cilindrata e si catapulta sul rettilineo con una sgommata roboante, tanto che l’uomo alla panchina, ignaro, solleva persino lo sguardo dal giornale, infastidito da tanta maleducazione. La macchina da corsa procede sparata, e naturalmente il chilometro di corda si srotola a vista d’occhio con diversi giri al secondo, quasi emulasse i giri stessi del motore dalle quattro bancate di cilindri multivalvole.  L’uomo alla panchina legge beatamente il suo quotidiano. E pensare che basterebbe dare un’occhiata in basso per accorgersi di quello strano cappio alla caviglia, e se lo scrollerebbe subito di dosso per l’incertezza.  E invece funesto arriva l’istante in cui la corda raccolta a terra fa l’ultimo giro, diviene improvvisamente ultra-tesa e si trascina via l’uomo alla panchina strappandolo con inaudita violenza dalla sua pace interiore. Il poveretto ha ancora il giornale in mano durante i primi cinquanta metri in cui rimbalza urlando sull'asfalto, che ad ogni urto gli ricompone i connotati della faccia come fossero i mattoncini della Lego.
Dunque, immaginate di osservare questa scena stando in piedi di fronte alla panchina, sul lato opposto della strada, per esempio. Potreste riprendere il tutto con lo smartphone, e poi caricare il video su youtube. Ma sareste dei sadici, quindi limitatevi ad osservare. Con gli occhi fissi sulla panchina, senza neanche muovere la testa. Vi assicuro che mai, nella vostra vita, avrete altra possibilità di vedere una persona in quiete sparire lateralmente dal vostro campo visivo con tanta rapidità. Altro che le stronzate dei prestigiatori, altro che vallette dal sorriso di plastica che scompaiono in scatoloni montati sotto il palco.
L’esperimento potrebbe anche essere condotto in un locale chiuso, appartamento o ufficio, con notevole rischio, ahimè, di più consistenti danni fisici sul malcapitato. Ad esempio, la corda potrebbe essere agganciata mentre la persona siede sul divano, e poi fatta passare attraverso la finestra aperta (siamo in estate) del suo appartamento al secondo/terzo/ quarto piano. Nell’istante di tensione della corda, la persona potrebbe cozzare violentemente contro tavolini e suppellettili, nonchè sul davanzale della finestra, prima di volare fuori per una cinquantina di metri con una sorta di traiettoria parabolica, schiantarsi sull’asfalto, e continuare ad essere trascinato a trecento all'ora fino ad esaurimento carburante.
Immaginate invece di farlo a lavoro, ad esempio in un largo ufficio open space. Siete ad un meeting e la vittima è un vostro collega poco simpatico che illustra il budget aziendale dell’anno corrente. Anche qui, la corda la cui estremità è agganciata alla sua caviglia viene fatta passare attraverso la finestra fino al paraurti della Bugatti che aspetta di partire lì fuori in basso. Ma c’è una differenza fondamentale. Essendo un ufficio, per norma di sicurezza la finestra non può essere lasciata completamente aperta, ma solo socchiusa, con lo spazio sufficiente per far passare la corda e basta. Il vostro poco amabile collega commenta dunque con tono saccente i numeri dell’anno in corso proiettati con i colori fasulli dei template aziendali sullo schermo al suo fianco, quando improvvisamente, e con gran fragore, sparisce lateralmente. Mentre vola via sbatacchiato tra scrivanie e linoleum rimane imbrigliato tra i cavi dell’alimentazione e della connessione Ethernet trascinandosi via monitor, docking stations, router e ficus d’arredamento. E in men di una frazione di secondo si schianta contro la finestra socchiusa. Assumendo un vetro antiproiettile, non c’è possibilità che  tale urto provochi più di una semplice scalfittura. Con l’ulteriore assunzione di una corda con carico di rottura pari al peso di una nave da crociera,  le possibilità sull'esito dell’esperimento sono le seguenti:
1) Il paraurti della vettura cede. In tal caso, la Bugatti scorrazzerà via leggera e beata al massimo della  velocità consentita dai suoi turbopropulsori.
2) Il paraurti non cede, e la trazione fa impennare improvvisamente la Bugatti, che per il contraccolpo viene trascinata all’indietro per diversi metri fino a cappottarsi.
In entrambi i casi, il vostro collega resterà piantato sulla finestra come l’uomo di Vitruvio con tutte le ossa rotte. Ma nel caso in cui la seconda opzione sia quella valida, questa persona avrà il merito di essere stato in grado di trascinare con il suo corpo una Bugatti Veyron Supersport per diversi metri. E’ forse la cosa più grande che abbia fatto in vita sua.

giovedì 21 marzo 2013

I had a dream


I had a dream about an airline offering full wireline internet connection on its aircrafts. Each aircraft is equipped with a router which is connected to the ground through a 10000 Km Ethernet cable (with embedded signal amplifiers every 100 m ca.) . Such cable is progressively unrolled from the plane during the flight, e.g. from Copenhagen to Chicago.
Kids are literally astonished by the biggest kites they will ever be able to see in their entire life.