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martedì 20 marzo 2012

Gli adulatori


Si può esprimere ammirazione per una persona senza scadere nella banale adulazione. L’ammirazione sta all’adulazione come una poesia di Prévert sta ad una frase dei Baci Perugina. Magnificare con ridondanza e ampio spiegamento di braccia le doti fisiche, o sportive, o intellettuali, o estetiche, o chissà che altro di un individuo, naturalmente quasi sempre e solo al suo cospetto, nasconde una pochezza e un vuoto interiore da far girare la testa. Chi ammira è sincero, chi adula la sincerità non sa neanche cosa sia. Chi ammira sa benissimo che le parole sono importanti, e sa come usare e dosarle. Chi adula, usa sempre frasi fatte perché non è in grado di elaborarne di proprie. Chi ammira ha il dono della sintesi, chi adula continuerà a ripetere le stesse cose in eterno senza neanche rendersene conto. Chi ammira, si sente vicino alla persona di cui parla. Chi adula, è affetto da un senso di inferiorità più o meno consapevole che gli rode l’anima. Diffidate degli adulatori: hanno una visione del mondo angusta e un'indole intimamente servile.  


domenica 18 marzo 2012

L'uomo che diceva no


Il vecchio sedeva sulla panchina con la schiena curva e i gomiti posati sulle ginocchia, e piangeva in silenzio. Le sue lacrime scendevano lente incanalandosi tra le rughe profonde del viso. A volte, una mano dalle dita strette e le nocche sporgenti saliva tremolante ad asciugare i suoi occhi opachi e tristi.
La bambina vide il vecchio e si sedette al suo fianco. Perché piangi, gli chiese. Piango perché sono vecchio, rispose l’altro. Tutti diventano vecchi, disse la bambina. Ma io sono diventato vecchio senza aver vissuto, disse l’uomo. Spiegati meglio, non ti capisco. Nella vita non ho fatto altro che dire no, e ora sono diventato vecchio e non ho più la possibilità di dire sì.
La bambina, che in realtà era una fata, disse: Non voglio che tu pianga, signore. Se davvero lo desideri, posso farti tornare giovane, e avrai di nuovo la possibilità di dire sì. Davvero faresti questo per me, chiese il vecchio sollevando per la prima volta i suoi occhioni grigi sul viso rotondo della fata. Stringimi forte la mano, disse la fata, chiudi gli occhi e desideralo fortemente. Il vecchio fece così come la fata aveva chiesto, e le rughe sulla fronte e sulle guance si distesero, i suoi radi capelli bianchi si infoltirono e tornarono biondi, gli occhi grigi presero il colore del mare. L’uomo sorrise alla fata mostrandole i suoi denti bianchissimi, la abbracciò e corse via rapido a riprendersi la vita che si era negato.

Sessant’anni dopo, la fata sedeva sulla panchina e aspettava il vecchio. Vide l’uomo arrivare con un’andatura energica e la schiena diritta. Gli occhi grigi avevano ora la luce livida e serena dell’oceano prima del tramonto,  e le rughe sul viso disegnavano virgole che arricchivano un sorriso disteso. Il vecchio si sedette vicino alla fata. Grazie mille per la seconda opportunità che mi hai dato, cara fata, le disse. Hai dunque avuto modo di rimediare ai tuoi no, chiese lei. Il vecchio scosse la testa. Ho detto esattamente gli stessi no, tutti. La fata era sorpresa. Ma perché, chiese. Perché ho capito che non erano solo nelle mie parole, quei no erano scritti dentro di me. E allora perché adesso hai questa luce negli occhi, chiese ancora la fata. E il vecchio rispose: Perché mi sono accorto che nella vita ho anche detto tanti sì, quelli che davvero volevo. Mentre prima, pensando solo ai no, me ne ero dimenticato.
Detto questo, il vecchio si alzò e andò via.

martedì 13 marzo 2012

Elogio degli e-reader




Spesso, chi ama leggere ha un rapporto vagamente feticista con i libri. Ama sfogliarli, annusarli, sentire al tatto la consistenza delle pagine, spingerli nella fessura ancora libera della propria libreria come fossero le tessere di un puzzle.
Per questo gli e-reader sono visti con discreto orrore da molti degli amanti della lettura. La confidenza anche fisica tra sguardo, tatto e inchiostro su carta trasformato in un arido contatto digitale con uno schermo traslucido. Inaccettabile per chi pensa che un libro abbia il suo profumo, e sia un oggetto con vita propria, l'amico di un momento triste o felice ma comunque irripetibile della tua vita, le cui pagine ingialliscono e invecchiano come la nostra pelle, imprigionando pero' nell'incavo della rilegatura l'aroma dell'esperienza vissuta, e le tracce di eventuali appunti lasciati come tatuaggi indelebili.
Anche noi amiamo leggere e siamo anche un po’ feticisti con i libri, e per questo eravamo restii agli e-reader. Ma ci siamo ricreduti. L’e-reader è un perfetto esempio di quell’elettronica elegante e discreta che viene incontro alle tue esigenze senza richiedere le attenzioni di un bebè. E maschera una tecnologia da urlo con un look gentile. Non ha schermo retroilluminato, e l'effetto e-ink rende quasi indistinguibile la pagina elettronica da quella di carta. Provare per credere. L’effetto e-ink è tecnicamente straordinario. Il colore inchiostro sullo schermo è ottenuto con l’opportuna orientazione tramite campo elettromagnetico di minuscole capsule sferoidali (metà bianche metà nere) che giacciono in un sottile strato polimerico sotto lo schermo. Ciò massimizza l’autonomia, perchè l’energia è solo necessaria per cambiare l’orientamento delle sfere (cioè, per cambiare pagina). In altre parole, se restiamo ore sulla stessa pagina non consumiamo alcuna energia.
Il libro si sfoglia con un semplice tocco dello schermo. Si può decidere tipo di carattere e dimensione. Non c'è l'odore della carta, ma la cover di cuoio ha un profumo altrettanto buono, tipo interni di un'auto nuova. Se in più vivi all’estero in una casa provvisoria in cui un'eventuale libreria sarebbe solo d'impiccio, e l'unico modo che hai di acquistare libri è quello di ordinarli su internet e farteli spedire (con costi di spedizione alti)... bè, il vantaggio vien da sé. Diffidate dei troppi .epub e .pdf gratuiti che trovare in rete, in realtà barbaramente generati scannerizzando i volumi cartacei. La formattazione resta rigida e inadatta ai pochi pollici dello schermo, e renderà la lettura un incubo. Spendete tre o quattro euro e salverete il piacere di decine di ore di lettura.
Un’esperienza diversa, dunque, altrettanto interessante che leggere un libro cartaceo. E poi, ammettiamolo, quando stiamo lì a pensare troppo all’odore della carta, alla rilegatura, alla sua collocazione in libreria, vuol dire che quel libro non ci sta prendendo granchè.
Anche l'idea di andare in giro con un oggetto di dimensione sei pollici che può contenere l’intera biblioteca di Alessandria ha il suo fascino. Questa è la tecnologia che ci piace. Quella che ti sorprende senza urlarti in faccia. E che materializza i sogni millenari degli stregoni. 


venerdì 9 marzo 2012

Trent'anni


Chi scrive compirà trent’anni tra una settimana. Incredibile ma vero.
Sui banchi di scuola o all'università il tempo sembrava non passare mai. Poi, improvvisamente, gli anni hanno preso la rincorsa. Quello dei trent'anni è un compleanno che spaventa e inquieta nel profondo. Forse il più temuto in assoluto. Perchè quando hai vent’anni all’età non ci pensi e sorridi al futuro, quando ne hai quaranta hai già imparato a conoscerti a fondo e trovato una tua dimensione, serena o malinconica che sia. A trent’anni, invece, sei nella terra di mezzo. Ancora irrealizzato, insicuro, confuso, disorientato. Bombardato da esigenze discordanti. In pieno, tumultuoso e tragicomico disordine personale, non sai che pesci pigliare e vorresti solo del tempo ma il tre che fa capolino come prima cifra della tua età ti dice datti ‘na mossa, o sarà troppo tardi. Quel numeretto scatta all’improvviso come le catene di un ponte levatoio che ti chiude l’accesso al castello beato della spensieratezza. E lascia un senso scomodo di perdita, di rimpianto per non esserti goduto fino in fondo le danze di corte cui ora non sei più invitato. C’è però chi a trent’anni ne ha già cinquanta. Magari sistemato con moglie e figli e lavoro sicuro, passa le serate spaparanzato sul divano ad abioccarsi davanti alla tv, aspettando che commare Tempo passi ad imbiancargli i capelli e a dilatargli la pancia.  
Chi scrive, però, appartiene piuttosto al popolo della terra di mezzo. E sa di essere in buona compagnia. Il mondo pullula di trentenni nella terra di mezzo. Cacciati bruscamente dallo sfavillante castello della spensieratezza e condannati a vagare nelle sterpaglie senza una meta ancora identificata. Ed e a tutti loro che mi rivolgo, incluso me stesso.
Cari trentenni che camminate miopi tra i rovi della terra di mezzo, per favore, cercate di dimenticare i luoghi comuni sulla vostra età. Tutti quelli che dicono che è giunto il momento delle responsabilità, che la giovinezza è finita, che bisogna costruirsi un futuro solido al più presto, e altri mattonate del genere. I luoghi comuni sono trappole infauste che imprigionano e inaridiscono la complessità e la bellezza del reale. I luoghi comuni sono roba da pigri e da gente senza immaginazione. Trent’anni sono solo ventinove più trecentosessantacinque giorni. E’ solo colpa della fottuta numerazione decimale se adesso la prima cifra della vostra età scatta di una posizione. Ma la numerazione decimale è un artifizio matematico, e non c’azzecca nulla con la morbidezza della pelle della vostra fronte, con la spontaneità del vostro sorriso, con il vostro desiderio di specchiarvi negli occhi scuri di una bella brunetta dopo aver bevuto insieme una bottiglia di Falaghina al chiaro di luna senza pensieri che non siano quelli di una sera.
La Storia, quella di questi anni, non vi è amica, cari trentenni della terra di mezzo. E forse vi toccherà lottare per renderla più docile. Ma far luce tra le sterpaglie per trovare tracce di un sentiero che convergerà poi in una vera e propria strada asfaltata è un compito che non spetta alla Storia, nè alla fottuta numerazione decimale, nè alle mortuarie avvisaglie dei luoghi comuni. Spetta solo alla vostra energia e al vostro entusiasmo. Spetta solo a voi.
E se ancora quella fottuta cifra tre decimale vi rode, calcolate la vostra età in base venticinque piuttosto che in base dieci. E vi scoprirete appena adolescenti.
In bocca al lupo, amici miei. 


venerdì 2 marzo 2012

Danzando nella nebbia - Amarcord



Quella di Amarcord è una nebbia ventosa. Immobile eppur viva, segnata da un sibilo persistente e dalla sporadica comparsa delle foglie secche che l’attraversano come rondini in cerca del nido. Una nebbia impossibile, che avvolge placida il piazzale d’ingresso del Grand Hotel chiuso per l’autunno. Getti l’occhio sullo spioncino del pesante portone. E sogni la lunga scalinata in marmo di Carrara su cui non potrai mai salire, i paralumi in chiffon,  le statue barocche  e i divani rococò coperti da teli di lino.  
Guardaaa...Belloooo....
La serenità di quell’atrio in chiaroscuro è così vicina, ma inaccessibile.  Due passettini ed ecco che l’alito di quella nebbia impossibile comincia a cullarti. Le tue spalle ondeggiano al suo soffio acuto e sottile. La tromba sognante di Nino Rota ti punzecchia i piedi ironica e bonaria, e lasci che la nebbia e il vento guidino la tua silenziosa danza.
Siamo tutti piccoli e soli in questa nebbia, immersi nel piacere romantico del sogno. Eppure, se una folata improvvisa solleva il manto biancastro come fosse il tendaggio di un sipario, ci accorgiamo di far parte di una coreografia di anime solitarie e ondeggianti, all’inconsapevole ricerca di un urto fortuito. C’è chi si illude di suonare il sassofono, chi abbraccia il suo amore che non c’è, chi tira il petto in fuori spavaldo, chi molleggia i passi, chi lascia che la sua smilza silhouette disegni una virgola scura su quel bianco alone.
Capita, di perdersi nella nebbia, tutti i giorni. Il placido danzare dei tuoi sogni che si sollevano dalla banalità del quotidiano e si librano leggeri come goccioline d’acqua sospese. Ma poi, purtroppo, tornano giù pesanti come foglie secche. Eppure non ti fermi. Non vedi nulla davanti a te ma continui a danzare. Aspettando la folata di vento che ti ricorderà di non essere solo.
Grazie, Federico Fellini.