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domenica 20 marzo 2011

La rabbia di Michele Placido




Spulciando tra le cartelle impolverate di un hard disk esterno che raccoglie file che mi porto appresso da oltre un decennio, è saltata fuori la recensione del film Ovunque sei di Michele Placido. Ricordo di aver visto quel film visto alla Mostra del Cinema di Venezia nell’ormai lontano 2004, quando ero lì come membro di un’associazione giovanile che si occupava di assegnare premi collaterali ai film in gara, nonchè di pubblicare un daily con recensioni e interviste. Ricordo di aver visto il film nella storica sala Perla, adiacente al casinò del Lido, e di essermi recato subito dopo al gazebo che costituiva il nostro stand dove ho buttato giù la recensione che qui riporto testualmente:

Prima o poi doveva arrivare la boiata pazzesca, l'indifendibile ciofeca che ogni anno sfigura in un coro di fishi e booohh tra il pubblico in sala; dispiace che quest'anno sia targata Italia e sia firmata da un regista tutt'altro che disprezzabile come Michele Placido. "Ovunque sei" racconta la storia di un giovane medico cornuto che (forse) muore in un incidente e torna (forse) sulla terra come spirito per riflettere sulla sua storia d'amore con la moglie. Placido si autopromuove al rango di autore, e riflette senza alcun senso della diegesi su vita morte e amore oscillando tra banalità panteiste e predicozzi da catechismo.  Un film che fa ridere, per la nonchalance con cui mescola riflessioni cosmiche con dialoghi della peggiore soap, con un discorso che scarta sempre di livello fingendo di sfiorare verità universali. Insopportabile Stefano Accorsi, che in più di un’occasione sembra la copia carbone del San Francesco di Zeffirelli, e sciorina per l’ennesima volta il suo personaggio di Romeo innamorato e  geloso e con un'insostenibile logorrea nel fuori campo.  Spiace vedere coinvolto nel pasticcio Luca Bigazzi, uno dei migliori direttori della fotografia di casa nostra, che gioca abilmente sui cromatismi notturni e il controluce, cercando di nobilitare una sequela di atroci velleitarismi narrativi. Il peggio del falso cinema d'autore, necrosi di un cinema italiano di cui troppo spesso si esalta l'improbabile rinascita, che di certo tarderà ad attuarsi se film come questi continueranno ad essere inseriti in competizioni di livello internazionale tralasciando magari opere e piccoli fenomeni produttivi infinitamente più stimolanti. Durante la proiezione in sala Perla, dopo l'ennesimo gratuito flou, uno spettatore grida: "Basta! Vogliamo vedere Orgasmo (nota: vecchio film di Umberto Lenzi proiettato in una retrospettiva sul cinema degli anni ‘70)!". E' stato l'unico applauso della serata.

Questo pezzo, che si contraddistingue per una presa di posizione piuttosto netta sul film di Michele Placido, fu molto apprezzato dagli altri membri della crew e dal caporedattore, che era uomo buono e giusto. Il mattino dopo il daily era già stato stampato e distribuito, e io me ne andavo a zonzo per il lido sovraffollato a caccia di starlette hollywoodiane a cui spiluccare autografi e qualche sorriso su cui sognare per i mesi venturi.  Al mio ritorno allo stand, il caporedattore mi disse in tono lapidario e con un forzato sorriso sulle labbra : “Senti, è venuto Michele Placido. Era incazzato nero”.  Ebbene sì, un copia del nostro daily era finita nelle mani del regista pugliese, che, forse alla ricerca di un capro espiatorio per sbollire la rabbia delle stroncature ricevute da penne ben più prestigiose della mia, si era recato al nostro stand. Lì, sbattendo più volte sulla scrivania del caporedattore una copia arrotolata del daily, aveva chiesto di me, ed essendo io assente, si era sfogato sbraitando agli altri membri della crew. Era una vergogna lasciare che dilettanti da sue soldi si permettessero di diffamare il lavoro collettivo di un gruppo di artisti affermati, dando solo motivazioni generiche con tono saccente e sarcastico. Poi era andato via prima che il caporedattore fosse in grado di articolare alcuna risposta.
Confesso che al momento tirai un respiro di sollievo per aver evitato un incontro piuttosto imbarazzante. Ma ora, con il senno di poi, mi dispiace di aver perso l’opportunità di incontrare Michele Placido. Cosa avrei fatto? Credo gli avrei chiesto un autografo, perché è un grande attore. Poi avremmo fatto due passi per il Lido, ci saremmo seduti a bere un mojito sulla spiaggia di Malamocco. E lì gli avrei detto che lui aveva pienamente ragione a dire che eravamo dilettanti da due soldi, ma avevamo tutto il diritto di esserlo, perché non scrivevamo sui Cahiers du Cinema ma su una rivista giovanile, una roba da dilettanti appunto. Ma questo non ci toglieva il diritto di stroncare il suo film, perché le nostre testoline da due soldi pensavano che il suo film facesse veramente schifo. Poi gli avrei consigliato di metter da parte la regia e di assecondare piuttosto la sua intima natura di attore brillante. Perché Michele Placido è un ordinario se non scialbo attore drammatico ma un grande, grandissimo attore brillante. Vedere Il caimano di Moretti per credere: lì è davvero stratosferico.

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