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sabato 25 febbraio 2012

Fantozzi e Dell'Utri



Se nelle grotte di Postumia una stalattite millenaria si stacca dal solido manto roccioso e c’è Ugo Fantozzi nelle vicinanze, puoi star certo che gli cadrà in testa. Se c’è una bomba dalla miccia attivata e in procinto di esplodere, sicuramente finità nei suoi calzoni. Se un maldestro sciatore non riesce a controllare la direzione di atterraggio del suo salto dal trampolino e sfondando la finestra di un ristorante finisce addosso all’ultimo commensale di una lunga tavolata, sicuramente quel commensale è Ugo Fantozzi. Un ragazzino lancia in aria un boomerang che invece di tornare indietro prende una traiettoria inattesa e colpisce Fantozzi alla nuca. In un bar due signori giocano a biliardo, uno di loro colpisce la palla a mò di leva e questa schizza via dal tavolo e si incastra nella bocca di Fantozzi seduto al bancone. Un leone evade dallo zoo e corre affamato e aggressivo per le strade cittadine, ma tutti i passanti fanno in tempo a chiudersi nelle loro auto tranne uno che ha dimenticato le chiavi: Ugo Fantozzi.  
Come Fantozzi anche Marcello Dell’Utri, un signore canuto con l’espressione da cerbero che ha anche qualche vaga somiglianza fisica con il più famoso ragioniere d’Italia, sembra essere una calamita per la sfiga. Ma nel suo caso la sfiga ha contorni e caratteristiche meno variegate. Non stalattiti, bombe, leoni, boomerang o palle da biliardo: la sua sfiga sono i mafiosi. Questo distinto intellettuale bibliofilo è funestato dai mafiosi che come per caso si ritrovano ad essere involontarie comparse nella sua irreprensibile quotidianità. I mafiosi sbattono su Dell'Utri come gli asteroidi di una pioggia meteoritica sull'Enterprise di Star Wars. Piovono mafiosi su Dell’Utri, insomma. Che sfortunatamente sembra sprovvisto di ombrello.
Marcello Dell’Utri  ingaggia uno stalliere per la gestione dei cavalli del suo capo e si ritrova in casa il boss palermitano Mangano.
Marcello Dell’Utri va al ristorante “Le Colline Pistoiesi” di Milano, non ha prenotato e non c’è un tavolo libero, ma un gentile signore che sta festeggiando il compleanno lo invita ad unirisi alla sua combriccola. E quel gentile signore è il boss catanese Calderone.
Marcello Dell’Utri si reca a Londra per una mostra sugli Etruschi. Mentre osserva deliziato frontoni templari e bighe in bronzo, il pavimento improvvisamente cede e finisce sulla tavolata imbandita del ristorante sottostante dove si festeggia il matrimonio del mafioso Jimmy Fauci, principale gestore del traffico di droga tra Italia, Gran Bretagna e Canada.  
Marcello Dell’Utri incontra Silvio Berlusconi nell’ufficetto del sottoscala del palazzo della Edilnord. Convinti di trovarsi in un centro commerciale e alla ricerca della porta del cesso del piano terra, in quella stanzetta entrano anche i boss Bontate e Teresi.
Marcello Dell’Utri diventa amministratore delegato dalla Bresciano Costruzioni e nell’associazione iniziano a confluire come per caso capitali mafiosi, finchè deve chiudere per bancarotta fraudolenta.
Marcello Dell’Utri vuol preparare una cenetta a lume di candela per la sua adorata signora ma si accorge che non ha il sale per le sogliole gratinate, allora va a chiederlo ad un vicino di casa che non ha mai incontrato finora. Ma prima che il cordiale vicino gli porga il contenitore di coccio, la polizia irrompe bruscamente nell’appartamento e lo arresta: il vicino era il boss catanese Corallo.
E questi sono solo pochi esempi dell’ingerenza involontaria del signor Marcello Dell’Utri nella storia della mafia italiana. Un impressionante numero di sfigatissime coincidenze, a sentir lui. C’è da star certi che avrebbe preferito i boomerang e le palle da biliardo di Fantozzi. Ma Fantozzi è un personaggio di fantasia creato dal grande Paolo Villaggio, Marcello Dell’Utri è vivo e vegeto nonchè Senatore della Repubblica Italiana da undici anni. Amico personale di Silvio Berlusconi e fondatore e “ideologo” di Forza Italia. Condannato in secondo grado a sette anni di reclusione per concorso esterno in associazione mafiosa.
Nell’agosto 2010, in virtù delle sue competenze di bibliofilo Marcello Dell’Utri fu invitato dall’associazione ParoLario di Como per un intervento sui presunti diari di Mussolini. Ferocemente contestato a colpi di “Mafioso”, “Baciamo le mani”, “Fuori la mafia dallo stato”, Dell’Utri non riuscì a proferire parola e fu costretto ad abbandonare la manifestazione scortato dalla polizia. Gli organizzatori infierirono sui manifestanti, colpevoli di inneggiare alla Costituzione senza rendersi conto che proprio in base alla Costituzione Marcello Dell’Utri non è mafioso, in quanto solamente condannato in secondo grado e non in Cassazione. Tecnicamente parlando, gli organizzatori di ParoLario hanno persino ragione. Ma si sa, i cavilli tecnici sono la manna del popolo dei senza-vergogna. E la contestazione di Como non ha nulla di tecnico, ma è piuttosto la cartina tornasole dell’esasperazione di una parte (ahimè, ancora piccola) di popolazione di fronte all’imbarazzante immoralità delle logiche di palazzo.
Nel giorno del trionfo giudiziario (leggasi: prescrizione) del più grande salesman della storia d’Italia, apprendiamo che la Cassazione si pronuncerà su Dell’Utri in data 9 marzo prossimo. E finalmente questa estenuante vicenda sarà finita. Il problema delle tragicommedie all’italiana è che alla lunga smettono di far ridere e cominciano a fare pena. Il caso Dell’Utri ha oltrepassato da tempo questa soglia. Per anni ci siamo sorbiti nelle interviste e nei talk show il presunto candore alla Forrest Gump di chi attraversa le vicende più scabrose della nostra storia recente fingendo di non capirci un accidente, e in più lanciandosi in esternazioni sull’eroismo di certi mafiosi che sono un insulto alle migliaia di vittime. Tra meno di due settimane, dunque, Marcello Dell’Utri verrà finalmente condannato in via definitiva e finirà al gabbio. Il copione della tragicommedia prevede l’indignazione dei parlamentari pidiellini che grideranno alla “scandalosa sentenza politica” e la pacata soddisfazione delle opposizioni. Meno contento sarà il popolo italiano, che per undici anni gli ha pagato lo stipendio di senatore. Ma si sa, probabilmente alzerà le spalle e si consolerà dicendo che tanto è tutto uno schifo.   


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