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lunedì 22 ottobre 2012

Roma acquario


Sono anni che, quando attraversiamo in autobus una città immersa nella notte e resa viva dai lampioni e dalle luci al neon delle insegne dei locali, ci troviamo senza volerlo a fischiettare il motivo musicale di Luce dei miei occhi. Film di Giuseppe Piccioni, colonna sonora (ammaliante come sempre) di Ludovico Einaudi.  
Un film sbagliato forse, melomane, artificioso, retorico, ridondante, addirittura iettatorio secondo Paolo Mereghetti.  Ma ricco di suggestioni memorabili. Scene come quella iniziale (vedi il video in basso), con il tassista Luigi Lo Cascio che attraversa una Roma notturna e quasi irriconoscibile, ci sono entrate nel cuore.
Il taxi e la città. Il dentro e il fuori. La Roma bluastra e taciturna di Giuseppe Piccioni non è una Roma da cartolina. Non ricorda quella caotica e colorata di Fellini, nè quella borgatara di Pasolini e Citti, tantomeno la Roma iperrealista e coatta di Verdone e colleghi.
E’ una Roma da fantascienza, con il taxi che diventa una navicella spaziale in un pianeta sconosciuto, come quello visitato da Morgan, l’eroe del protagonista.
Ma è anche una Roma acquario, dove poche anime silenti sembrano fluttuare come pesci,  e le vetrate di ristoranti e autobus imprigionano la luce di lampade da tavolo e illuminazioni stradali. Si può essere vicini alle vetrate di un acquario, lasciarsi sedurre dai colori delle piante marine e dai movimenti sinuosi e lenti dei pesci che lo abitano. Ma il più delle volte si resta spettatori: arrampicarsi come folletti sulla barriera di vetro,  prendere un bel respiro e lanciarsi con un bel tuffo carpiato in quella vasca dall'interno così visibile eppur così misterioso non è, in molti casi, possible.
Il tassista Luigi Lo Cascio è lo spettatore della Roma acquario: chiuso tra le pareti rassicuranti e mortifere del suo sottomarino-taxi, non avrà mai il coraggio di superarle. Non diventerà mai un pesce.


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