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giovedì 8 ottobre 2015

Riflessione generale sul Movimento Cinque Stelle

La politica per slogan e il gioco al ribasso. Ecco le armi di distrazione di massa del Movimento Cinque stelle. Noi ci tagliamo gli stipendi e finanziamo la piccola e media impresa, i politici di professione pensano solo alla poltrona, la politica regala miliardi alle banche e poi dicono che non ci sono i soldi per il reddito di cittadinanza, eccetera eccetera.
Li criticano per il comportamento poco ortodosso in parlamento, per le fandonie del loro leader, per la logica autoritaria delle espulsioni? Però il PD fa e dice peggio, dicono loro.
Fanno tutti schifo, non possiamo fare peggio, insomma.
Tutto ciò funziona e accresce i consensi, nell'epoca dell'imbecillimento di massa, e Casaleggio e Grillo lo sanno bene.
Altro che "movimento dal basso", non siamo in Spagna, il Movimento Cinque Stelle è lontano anni luce da Podemos. Il Movimento Cinque Stelle nasce dal preciso disegno imprenditoriale di un manager milionario che sa come sfruttare il malcontento generale e le favole moderne.
La favola della rete, in particolare, che illude ogni imbecille di poter aver voce ed essere ascoltato, di incidere nella realtà di oggi. Peccato che la sua voce cristallina e preziosa finisca poi nel gorgo annichilente dei server privati della Casaleggio Associati, probabilmente il luogo più misterioso dell'intero universo insieme alla galassia ellittica del Centauro. E che sia la Casaleggio Associati a decidere quali voci vadano amplificate e quali relegate all'oblio più profondo.
Il Movimento Cinque Stelle è piuttosto l'ultima frontiera dei reality show. Dove non si vince una carriera nella tv o nel cinema, ma potenzialmente il governo di un paese. Una banda di perfetti sconosciuti senza merito alcuno opportunamente selezionati per entrare nei salotti della politica; il pubblico segue le loro gesta, si appassiona al più bello o al più grezzo e lo vota come premier (anche se poi  in realtà alla fine decide tutto il gran capoccia Gianroberto).
La favola, ancora, che persone comuni possano dal nulla aspirare ai vertici della politica nazionale. Nessuno che si chieda, però, se tali persone comuni abbiano anche qualche neurone in testa. Ma conta davvero, poi, avere talento ed esperienza?  No di certo, vale la convinzione candida che basti essere onesto per amministrare un paese complesso come l'Italia. D'altronde, si sa che il Candido di Voltaire avrebbe governato la Francia meglio di Luigi XIV. E che Forrest Gump avrebbe fatto le scarpe a Nixon, Clinton, e Obama messi insieme.
Basta saper recitare slogan, cercare l'applauso facile. Come fa Luigi Di Maio, un fenomeno del reality M5S, nonchè quasi sicuramente prossimo candidato premier. D'accordo, Di Maio è giovane, telegenico, bravo nel contraddittorio televisivo e nel ripetere efficacemente la lezioncina di Grillo e Casaleggio. Ma cosa ha fatto quest'uomo nella vita? Ben poco, a dire vero, basta dare un'occhiata a Wikipedia. Dopo il diploma si è iscritto a ingegneria, poi ha mollato e si è iscritto a giurisprudenza, dove attualmente è studente fuori corso da diversi anni. Qualche lavoro saltuario come webmaster. Fine. E questa persona avrebbe l'esperienza necessaria per governare uno dei paesi più importanti del mondo?
Analogo discorso si potrebbe fare per Alessandro Di Battista (che se la fa sotto all'idea di candidarsi sindaco a Roma), Roberta Lombardo, Paola Taverna, Carlo Sibilia e tanti altri. Personaggi venuti dal nulla e senza alcun talento se non una certa efficacia da televendita.
Forse ci vorranno anni per capire se questa specie di minchioneria 2.0 sia una sorta di temporaneo rigurgito isterico al ventennio berlusconiano, o se sia un fenomeno più complesso e radicale, legato all'impoverimento culturale, alla finta democratizzazione dei nuovi media, al disorientamento da sovrainformazione. Forse è tempo di spegnere l'iPad. E rileggere Orwell.

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