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lunedì 27 febbraio 2012

Oscar 2012 e la saturazione dell'immaginario


L’84esima edizione della cerimonia degli Oscar, tenutasi ieri sera al Kodak Theater di Los Angeles, ha decretato la vittoria della pellicola muta The Artist, che ha ricevuto premi al miglior film, al miglior regista, miglior attore protagonista, miglior colonna sonora e migliori costumi. Con le sue dieci nomination e i cinque Oscar agguantati, The Artist vince ma non stravince, visto che ugual numero di statuette è andato a Hugo Cabret di Scorsese (anche se in categorie tecniche).
Una rapida occhiata su wikipedia alle edizioni passate ed è facile notare che, con l’eccezione de The Lord of the Rings - The Return of the King (i cui undici Oscar vinti sono però un riconoscimento all’intera trilogia di Peter Jackson più che all’opera in questione), negli ultimi anni nessuno dei film premiati nelle maggiori categorie è riuscito davvero ad imporsi e a fare incetta di premi. Un decennio e mezzo fa, prima della premiazione si sapeva benissimo che film come Titanic o Schindler’s List avrebbero stravinto, e la cosa si verificava puntualmente. Negli ultimi anni nessun film vince più di quattro-cinque statuette, e soprattutto non c’è mai un favorito veramente forte alla vigilia della cerimonia.
Maggiore suspance per i bookmaker, dunque, ma anche spunto di riflessione sul cinema contemporaneo. Perchè non esce più un film che “spacca tutto”? Hollywood non è più capace di produrre opere di alto livello? Il motivo non è certo questo, anche i più ingenui sanno che non sempre qualità e Oscar vanno a braccetto (basti pensare ai premiatissimi Shakespeare in love o The english patient...). Piuttosto, Hollywood sembra aver perso il potere di segnare l’immaginario collettivo come ha fatto per decenni. Anche un film come Avatar, strategicamente pompato come un’opera rivoluzionaria, si è rivelato poi un’accozzaglia di deja vu ed è finito presto nel dimenticatoio.
Se pensiamo ai premiatissimi film degli anni ’90, ci accorgiamo di come ognuno di loro sia riuscito a dare un forte impulso alla ridefinizione del cinema mainstream. Con il ribaltamento della presa di posizione dei western classici,  Dances with Wolves di Kevin Costner (7 Oscar) ha sdoganato alle masse il cinema di genere pensante. Il bianco e nero al contempo realistico e stilizzato di Schindler’s List di Steven Spielberg (7 Oscar) ha dimostrato come coraggiose scelte espressive possano essere di servizio alla narrazione di una tragedia storica come l’Olocausto. Titanic di James Cameron (11 Oscar) ha inventato il melodramma ipertecnologico. Nel 2012 non sembra esserci molto più da inventare o da sdoganare. Nessun dramma è più atroce di tanti già visti, nessun plot è davvero inedito, nessun effetto speciale riesce più a farci sobbalzare dalla poltrona. Forse l’immaginario collettivo ha ormai raggiunto la saturazione e non resta che girare e rigirare le solite frittate nella speranza che non brucino. Se Schindler's List, Dances with Wolves e Titanic fossero realizzati oggi, probabilmente non avrebbero più la stessa clamorosa capacità di scuotere le masse.
In tal senso va inquadrato il successo di The Artist. E il genio strategico del distributore americano Harvey Weinstein, che è riuscito a far volare questo grazioso filmetto francese dritto dritto fino alla vetta dell’olimpo hollywoodiano. Ciò che colpisce in The Artist, al di là di essere un film muto e in bianco e nero, è l’assoluta semplicità degli stilemi narrativi di questa storia di ascesa e declino di un giovane attore. Nell’epoca della Fusion Camera 3D in cui risoluzione e stratificazione delle immagini raggiungono livelli stordenti, The Artist riesce ancora ad emozionare con l’espressione ferita di un volto, la minaccia di un’ombra su un tendone, il tonfo sordo di un bicchiere su di un tavolo. Un ritorno alle origini che è un vero antidoto al martellamento ottico dei blockbuster odierni.
C’è da scommettere che il film di Michel Hazanavicius genererà una serie di epigoni, e riaccenderà un interesse di massa per gli evergreen dell’era del muto.
E’ giunto dunque il momento di far tabula rasa dell’immaginario di un secolo di cinema?  Forse no. Piuttosto, è semplicemente ora di ricordarsi di cosa il cinema sia veramente.

 

1 commento:

  1. Aggiungerei che la notte degli oscar appena trascorsa ha evidenziato come una delle problematiche che sta affrontando Hollywood è l'assenza di un interprete in grado di sorreggere tutto il film. Una volta bastava assoldare un Tom Cruise, un Tom Hanks o un Russel Crowe per avere una garanzia di successo commerciale e, probabilmente, di critica. Oggi, invece si guarda all'opera nel suo complesso, indipendentemente da chi la interpreta. E se questo è un bene per l'arte cinematografica, lo è un po meno per l'industria del cinema americano, da sempre economicamente ancorato alle logiche economiche del blockbuster commerciale.

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